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Boboli, essenza evolutiva di un Cru di Vermentino dei Colli di Luni

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Mario-Giagnoni-okdi Mario Giagnoni

Se è vera l’equazione che solo i grandi vini possono crescere ed esaltarsi con l’invecchiamento, allora il Boboli può definirsi un grande vino. L’obiettivo di questa esperienza è stato quello di penetrare l’essenza evolutiva di un Cru di Vermentino dei Colli di Luni, un vitigno all’apparenza non particolarmente vocato a crescere nel tempo in quanto, essendo privo di grossa acidità, punta tutto su integrità e potenza naturale. Siamo a Castelnuovo Magra (SP), un delizioso borgo situato tra le Alpi Apuane e il mar Tirreno. Alle redini del progetto c’è il titolare dell’azienda Agricola Giacomelli, Roberto Petacchi, che già da due decenni scandisce con vigore una scelta produttiva all’impronta di un preciso denominatore comune, che coniuga originalità ed eleganza. Ad aiutarlo ci pensa un microclima speciale, grazie ai venti freddi delle montagne e all’influenza mitigante del mare, ma soprattutto la terra del Boboli, un vigneto centenario di circa un ettaro e mezzo orientato a sud- est, a 200 metri sul livello del mare.

Si presenta a piccoli terrazzamenti, con terreno argilloso ed uno scheletro misto a roccia calcarea di piccola pezzatura. Ai lati del pendio, dove si estende, è ancora presente la vegetazione originaria di macchia mediterranea, corbezzoli, rosmarino, alloro e piccoli arbusti aromatici. Questa combinazione dona alle uve una particolare delizia su toni sapidi e minerali. “Il Boboli è il gioiello della nostra azienda” ci dice Roberto. “Mi ha entusiasmato fin da subito vinificare le sue uve, che già alle origini si presentavano con un 90 per cento di Vermentino e un dieci di Malvasia di Candia.

Il risultato, che è frutto di una cura maniacale per le uve ed una vinificazione a bassissime temperature, ci ha davvero ripagato”. I campioni aperti per questa verticale, 4 annate a ritroso, dal 2015 al 2006, ci hanno messo di fronte ad una qualità media davvero elevata, anche se l’etichetta più recente sembra prediligere una beva più pronta rispetto alle vecchie interpretazioni. Boboli 2015. Naso aperto, fragrante, immediato, segnato da un impatto brillante ed intensa florealità: l’aura minerale accompagna lo sviluppo a cui partecipano la crudezza delle erbe e la carnosità della frutta bianca, pera in evidenza. In bocca ha una struttura piena e procede con scioltezza, ed anche se l’allungo non è profondissimo le sensazioni finali mostrano la rara virtù di non scomporsi.

Boboli 2010. Bellissimo il suo colore dorato trasparente: mostra un naso vivo di fiori gialli e marmellata di bergamotto che, al contatto con l’aria, si sviluppa in belle note soavi di miele, appena resinose ed affumicate. Una connotazione matura in tutti gli aspetti, davvero sorprendente, che però non ne limita mai la capacità di esprimere freschezza. La bocca è densa e dotata di una certa profondità, si mantiene concentrata, equilibrata ed elegante, per un vino che ha una sola parola per essere descritto, completo. Difficile saper gestire meglio questa materia.

Boboli 2008. La doratura del colore si fa calda e melanconica.  Naso di pietra focaia, mughetto, miele millefiori e burro fresco: un’esibizione di grande respiro, intensa composta e persistente. Con grazia escono in sequenza frutti gialli esotici, molto maturi, liquirizia e spezie, in un coacervo euritmico e carezzevole. In bocca appare una corrispondenza che aggiunge la camomilla ad un già nutrito patrimonio di sentori iniziali: l’acidità è ancora felina e lascia che la struttura si distenda senza strappi, asciutta, lunga e cremosa. Memorabile.

Boboli 2006. Il colore presenta una doratura leggera ma viva. Naso dolce, aperto, gentile ed intenso nelle sue strepitose note floreali gialle, alle quali si accompagna un sentore minerale di pietra lavica e marmellata di albicocca. In bocca si appoggia sulle medesime sensazioni, con acidità vibrante ed energica, espressione di un palato molto ricco e perentorio. Nel finale ritorna la materia declinata in amaro, raro esempio di corrispondenza.

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