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Ecco perché il mio (un tempo) amico non mi ha mai pagato nessuna campagna elettorale

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di Umberto Cecchi
Pochi giorni fa, uscendo da una libreria sono stato fermato da un signore che non conoscevo. Onorevole, mi disse, lei è un amico di Denis Verdini!

Diciamo che lo ero, risposi: non lo vedo né ci parlo da anni. Chi sa? Forse si vergogna della mia vecchia amicizia. E lei chi è?

Sono stato un consigliere del Credito Cooperativo di Campi. Anch’io ero suo amico. Una volta avevo una pellicceria, si ricorda? Ho perso tutto. E forse anche per la mia dabbenaggine. Lei lo avrebbe immaginato a quei tempi? Non si è meravigliato?

Guardi, l’unica cosa che mi ha davvero meravigliato di Verdini, gli chiesi perché si fosse tagliato i baffi per far piacere a Berlusconi, che della gente dei baffi non si fida. Io non l’ho mai fatto, anche se una volta scherzando e ridendo me lo chiese. E io glissai ridendo e dicendogli che prima lui avrebbe dovuto tagliarsi il ciuffo sulla fronte. E non li tagliai. E le assicuro che tuttavia, baffi o no,  a quel tempo contavo abbastanza in Forza Italia. E quando Silvio aveva problemi con il gruppo, e già a quel tempo ne aveva, mi chiamava per mediare. Non era facile aveva messo insieme un governo improbabile di personaggi quasi tutti inadeguati, impreparati al ruolo, ma spocchiosi, e tanti parlamentari per i quali la politica era un affare, non un modo di gestire le sorti del paese. Dicevano che ero un falco, in realtà ero presidente della commissione per l’Europa, sostenevo che l’Europa così come la stavamo facendo era un disastro – cosa che ribadii al senato a Parigi – e mi facevano girare il mondo per risolvere problemi piuttosto complessi. Cina, Vietnam, Israele, Gaza, Mozambico, Somalia e così via per il mondo.

IL SELF MADE MAN

Aveva ragione quel signore disperato. E’ vero: sono stato un vecchio amico di Verdini, ne ho apprezzato a lungo le sue capacità di ragionamento politico. I suoi teoremi avevano spunti interessanti. Era intelligente e ironico, un self made man che aveva conosciuto la povertà da ragazzo aveva studiato ragioneria a Prato, si era laureato a Firenze ed aveva fatto i soldi , dimostrando che nella vita, impegnandosi, molte cose si potevano cambiare. Lavorare coi macellai, risolvere i loro problemi economici, e tenere la loro amministrazione, al giovane commercialista fruttò molto. E gli aprì la strada per la vita. E al momento giusto, in seconde nozze, che furono celebrate molto dopo la nascita dei suoi due figli, con Simonetta Fossombroni – dei Fossombroni ministri del Granduca e bonificatori delle maremme – si legò in maniera molto stretta con Giovanni Spadolini, l’ultimo politico che avesse il senso delle istituzioni. Simonetta ne era stata una stretta collaboratrice. Intelligente e volitiva era per Denis un valore aggiunto: bel mondo, conoscenze fiorentine e romane, amicizie giuste.

In questi giorni molti giornalisti hanno tentato di tracciare un profilo dell’uomo che lascia Berlusconi per correre in aiuto a Renzi, assieme a una pattuglia di fedelissimi – che il Cavaliere ha definito ‘mestieranti’ –  alcuni dei quali legati all’ex coordinatore nazionale di FI per motivi di lavoro. Hanno scritto in tanti ma molti di questi colleghi giornalisti sono troppo giovani – ai miei tempi queste cose si facevano fare a chi era in grado di avere la conoscenza dei fatti o perlomeno una capacità di analisi, per capire non solo i baffi, ma anche l’anima, il nous delle persone, come dicevano i greci –  Oggi invece molti scrivono perché hanno un computer e qualcuno pubblica il loro temino.

C’è, ad esempio, chi ha scritto che Verdini deve a me la sua fortuna politica, perché avendomi finanziato la campagna elettorale, l’ho ricompensato accompagnandolo per mano sulla via del potere.

IL REPUBBLICANO SPADOLINIANO
Sì, certamente Verdini deve in gran parte a me la sua seconda, importante vita: quella politica. Quella post macellai, banche, uffici di commercialista. Non c’è dubbio. Prima di me lo chiamavano ‘Perdini’ perchè si presentava candidato nel Partito Repubblicano e prendeva una manciatella di voti. Quanto si scontrò con Arlacchi folgorò l’elettorato con un manifesto icastico a rima baciata: ‘Se voti Arlacchi, dopo ti attacchi’. Votarono Arlacchi. Ma io lo apprezzavo anche per questo: sapeva di perdere, ma sapeva che in politica si perde anche, e che l’importante è lottare. Il suo era un attaccamento al partito repubblicano e a Giovanni Spadolini, nella casa del quale – il ‘tondo dei cipressi’ – io ho conosciuto e stimato Denis.
Quasi ogni sabato sera, infatti, il Presidente tornava a Firenze e ci voleva a cena, o da ‘Omero’ al Pian dei Giullari, o a ‘La Loggia’, al piazzale. E con noi due c’erano pochi altri: a volte Lotti, a volte Sartori sempre Ceccuti. Spadolini ci chiedeva molte cose, sulla città, sulla regione, sulla politica in genere. E ce ne insegnava molte. Di più. Ci faceva lezione di politica. Un maestro irripetibile. Domandai a lui, quando Berlusconi mi chiese di candidarmi, cosa dovessi fare. Era lontana da me l’idea di fare ‘il politico’, lui mi convinse, dandomi alcune dritte e insegnandomi alcune cose di questo Paese e dei suoi uomini, a cominciare dall’allora Capo dello Stato, cose che se permettete tengo per me. Come tengo per me gli insegnamenti che più tardi, a più riprese mi dette Con ironia costruttivamente critica, Cossiga. Le dirò a suo tempo.
Spadolini mi convinse. Lui a quel tempo non aveva mai parlato con Berlusconi di quanto stava succedendo in Italia. Né ci voleva parlare. Fui io che una sera li misi in contatto telefonico e nacque una sorta di intesa fra loro. Non tanto politica quanto umana. Che, mi dispiace, il Cavaliere più tardi non rispettò. Ma questo è un discorso che riprenderò scrivendo i miei ricordi.
Fu una campagna elettorale dura: fui il solo a condurla per intero in città e in tutta la regione, di altri che erano con me nel ‘listino’, incontrai più volte solo Tina Lagostena Bassi, un grande avvocato e un’amica che ricordo con affetto.

PROSSIMA PUNTATA
NESSUN FINANZIAMENTO DI VERDINI ALLA CAMPAGNA ELETTORALE

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