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I dipartimenti delle professioni infermieristiche e ostetriche e la valorizzazione di ruoli e competenze

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È stato accompagnato dalle irriverenti vignette che l’artista Giovanni Beduschi ha disegnato in diretta, l’incontro su “I dipartimenti delle professioni infermieristiche ed ostetriche e la valorizzazione dei ruoli e delle competenze” che si è tenuto nell’ambito del 12° Forum Risk Mangement di Firenze. Moderato da Gianluca Bugnoli, direttore UOC Assistenza Infermieristica AOU Senese, e Monica Scateni, direttore UO Coordinamento Infermieristico AOU Pisa, si è aperto con l’intervento di Barbara Mangiacavalli, presidente Federazione Nazionale Collegi IPASVI.
«L’evoluzione della funzione manageriale deve fare i conti con il contesto che si è modificato – ha detto la presidente Mangiacavalli -. Si deve iniziare a tener conto del fatto che sì le competenze manageriali sono trasversali, ma che il mestiere del manager è il mestiere del manager. Nel mondo sanitario si accede alla dirigenza con la specializzazione, senza questa non si può partecipare ai relativi concorsi. Quindi il tema dei livelli formativi e dell’accesso alla formazione specialistica e manageriale merita l’apertura di un dibattito. Inoltre, dobbiamo iniziare a passare dal governo delle risorse a quello dei processi, non possiamo pensare di continuare a esercitare la funzione di coordinamento manageriale utilizzando il sistema gerarchico, non adatto alla complessità del sistema. Prendere in carico i processi significa appropriarsi del loro governo e condurli, avvalendosi delle competenze di infermieri inseriti a diversi livelli che seguano il cittadino nei suoi bisogni. Dobbiamo provare a ridisegnare il contesto, non fermiamoci a riflettere sull’esercizio della funzione manageriale solo nel Servizio Sanitario Nazionale, nelle Asl o negli ospedali. Ragionare su un unico settore non è rispettoso dello sviluppo della professione, del sistema paese, né dei bisogni dei nostri cittadini».
Il primo macro argomento “Come l’organizzazione dipartimentale supporta i processi e la sicurezza” si è aperto con l’intervento di Paolo Pratesi, direttore SOSD 118 Azienda USL Toscana Centro, che ha focalizzato l’attenzione sul modello del dipartimento infermieristico e ostetrico nella Asl Toscana centro. «Questo si basa su tre dimensioni – ha spiegato Pratesi -. La dimensione tecnica, con la suddivisione delle strutture in 2 aree, quella della programmazione e del controllo risorse, con sottodivisione per zone distretto e l’area di governo (indirizzo progettazione e monitoraggio) che s’inserisce in maniera trasversale in tutte le strutture e fa da supporto. A queste si aggiungono ostetricia e 118, organizzate in maniera unitaria in tutta l’azienda. La seconda dimensione affrontata nell’organizzazione è quella relazionale. Qui svolge un ruolo fondamentale l’area indirizzo progettazione e monitoraggio per ottenere un’integrazione a livello strategico, progettuale, operativo e di valutazione. La terza è quella emotiva e comprende competenza, impegno, curiosità, coraggio. Anche il raggiungimento di ruoli di direzione non rappresenta un traguardo ma un punto di partenza».
«In questo momento storico il dipartimento infermieristico rappresenta un’opportunità ma anche una necessità – ha detto Michele Aurigi, presidente Collegio IPASVI Siena -. Essere riusciti a mettere una bandierina nella legge regionale ci consente di ‘giocare la partita’. Per farlo dobbiamo ragionare su chi siamo. Credo che il bravo infermiere debba misurarsi sugli outcome: se non lo facciamo siamo perdenti in partenza. Abbiamo bisogno che processi di accreditamento e sicurezza siamo credibili; non dobbiamo ridurli a mero esercizio burocratico. Per questo la partita del dipartimento è importante, può e deve essere il nostro volano. Poi, quando saremo davvero integrati potremmo farne a meno, poiché integrazione significa piena facoltà di ricoprire ruoli che in qualche maniera spesso ricopriamo dietro le quinte. Ma non dimentichiamo mai che tutto è in funzione del cittadino, con difficoltà, bisogni a cui dobbiamo dare disposta. Se lo scordiamo, non c’è dipartimento che tenga, siamo destinati a non progredire».
«Il nostro presidio è caratterizzato da ampia estensione territoriale, pochi cittadini e molti dipendenti – ha detto Daniela Matarrese, direttore del presidio ospedaliero La Gruccia aprendo gli interventi sul tema “La relazione tra Dipartimenti e le Direzioni Sanitarie di Presidio” -. La riforma ha creato dipartimenti di professioni sanitarie gestionali e dipartimenti clinici gestionali. La componente medica viene trasferita all’interno dei dipartimenti clinici anch’essi gestionali e le direzioni di presidio assumono nuovo ruolo: devo supportare i dipartimenti gestionali nella produzione e gestire le piattaforme logistiche. I dipartimenti clinici, i dipartimenti delle professioni sanitarie e le direzioni di presidio e di stabilimento si occupano tutti di gestione della casistica e delle piattaforme produttive. È stata abbandonata la logica dei reparti, dell’unità operativa, a favore di una logica per moduli che si occupa delle attività clinico assistenziali mentre l’area organizzativa di presidio si occupa di governance della piattaforma. Il dipartimento delle professioni sanitarie e la direzione di presidio si occupano di governance delle attività ospedaliere. La nostra soluzione è stata quella di dare a tutte le professioni pari dignità, valore e responsabilità nei ruoli».
«La nostra è un’assunzione di responsabilità – ha spiegato Lorenzo Baragatti dell’azienda USL Toscana Sud Est -. Siamo consapevoli di essere all’interno di una strategia aziendale. Sono i 5000 professionisti dell’azienda USL Toscana Sud Est che afferiscono al dipartimento. Ma non ci sono solo una, due, cinque persone al comando: dobbiamo fare comunità professionale. Dobbiamo operare un cambiamento, ma continuare a dare al cittadino quello che abbiamo garantito fino ad ora; anzi dobbiamo fare ancora di più. Abbiamo puntato a coinvolgere tutti i livelli organizzativi e operativi trovando le soluzioni adeguate a ciascun livello. Altro grosso passaggio che ci ha consentito di definire un’organizzazione per linee orizzontali è stato condividere gli obbiettivi tra i vari livelli. Così pur esistendo tre dimensioni, knowledge managemnt, operation management, human resources management, la dimensione professionale attraversa tutta l’azienda».
«La mia riflessione – ha detto Gabriele Panci presidente del Collegio IPASVI Prato – parte dal presupposto che vedo sempre più demotivazione da parte dei colleghi. Guardando la realtà da professionista e da cittadino noto che la sanità e cambiata, il cittadino richiede prestazioni diverse, abbiamo un approccio diverso da quello di qualche anno fa. Abbiamo scritto tanto in 40 anni, leggi, normative, provvedimenti, ma non si è vista un’applicazione vera e propria nei contesti lavorativi. Sul potenziamento del territorio, ad esempio, abbiamo fatto tante modifiche, ma poi la maggior parte delle prestazioni richieste in pronto soccorso non sarebbero da effettuare in pronto soccorso. Investiamo tanto in formazione e abbiamo figure professionali con tipizzazioni e differenziazioni di ruolo, ma spesso le nostre competenze non vengono sfruttate. Se le direzioni con una struttura diversa riescono ad andare incontro agli infermieri sfruttando in maniera migliore le loro specializzazioni forse si va nella direzione giusta».
«Il primo passo che ha fatto il dipartimento – ha detto Daniela Gavazzi Consigliere Collegio IPASVI Firenze-Pistoia – è darsi un modello organizzativo, una struttura a cui riferirsi e su cui possiamo valutare i nostri outcome. Dobbiamo continuare a ispirarci a principi che vadano a valorizzare la pratica e lo sviluppo professionale. Anche la letteratura ci insegna che i nuovi modelli privilegiano il grado di autonomia di ciascun infermiere correlato al livello di formazione/esperienza, al livello di autogestione di infermieri o coordinatori, al grado di coinvolgimento all’interno dell’equipe. Occorre esaminare le relazioni tra numeri infermieri e qualità dell’assistenza: questa sarebbe più efficace se erogata da un gruppo composto in base ai bisogni dell’utente, alla tipologia dei casi. Bisogna andare oltre il livello delle best practices».
Antonella Valeri direttrice del Distretto Arezzo Azienda USL Toscana Sud Est ha aperto il terzo tema “La relazione tra i Dipartimenti e le Zone Distretto”. «Il modello gestionale dell’Asl Toscana Sud Est – ha detto Valeri – si articola in tre dimensioni: la dimensione professionale, ovvero il “come fare”, che definisce standard e protocolli tecnici; la dimensione gestionale funzionale, che costituisce il “cosa fare” e comprende la programmazione, l’organizzazione e la gestione delle risorse per raggiungere gli obbiettivi prefissati dal budget; la dimensione localizzativa che rappresenta il “dove fare” e definisce il sistema di attività e responsabilità delle macrostrutture dell’Azienda. Le zone distretto o società della salute sono piattaforme di erogazione di molteplici servizi. Sono l’interfaccia con ospedale, medici di medicina generale, pazienti e famiglie. Sono pronte ad affrontare questo percorso? Servono tante risorse, quindi o si ha il coraggio di assumere o si spostano risorse da ospedale a territorio».
«Il dipartimento e la zona distretto sono due mondi che s’incontrano e devono collaborare – ha spiegato Chiara Pini dell’azienda USL Toscana Nord Ovest -. La riduzione delle aziende USL, il rafforzamento della programmazione di area vasta, l’organizzazione del territorio, la revisione dei processi di governance consentono una semplificazione del sistema, uniformità e omogeneità organizzativa e diffusione omogenea delle migliori pratiche. Oggi si è parlato spesso di reti, nella zona distretto si erogano e organizzano servizi inerenti le reti territoriali sanitarie, mentre i dipartimenti hanno funzioni di tipo programmatorio, gestionale allocativo e operativo. La principale difficoltà riscontrata dall’azienda Nord Ovest è stata portare a tutto il territorio gli stessi servizi, garantendo equità di accesso. La struttura si compone di sette unità operative territoriali (5 complesse e 2 semplici) con il direttore della Uoc territoriale all’interno del comitato di coordinamento della zona distretto di riferimento e percorsi trasversali gestiti da unità operative complesse. Altra sfida è implementare il modello dell’infermiere di famiglia per dare gestione uniforme di tutta assistenza territoriale in funzione di un’unica figura».
Guadalupe Capizzano, consigliere Collegio IPASVI Lucca, ha invece focalizzato il suo intervento sull’infermiere di famiglia e di comunità nella gestione del processo assistenziale e sul Master “Infermiere di famiglia e di comunità”, messo a punto nel 2009 dall’Università di Pisa. «Un ruolo nuovo – ha spiegato – che rappresenta un punto di congiunzione tra ospedale e territorio. Il percorso di formazione fornisce competenze professionali distintive nel settore delle cure primarie. Il suo obbiettivo è orientare i professionisti verso una maggiore consapevolezza rispetto alle attuali problematiche di salute associate all’incremento della longevità, della cronicità e delle disuguaglianze sociali e alle esigenze insorte dopo il ricovero ospedaliero. Il modello assistenziale prevede che l’intervento d’iniziativa sia rivolto a un target di assistiti complessi a più alto rischio di ricoveri ripetuti, a un target di pazienti che include gli ipertesi e diabetici ad alto rischio cardiovascolare, pazienti cronici già arruolati».
La chiusura è stata affidata a Cinzia Beligni consigliere Collegio IPASVI Firenze-Pistoia. «Mancano alcuni punti che non siamo maturi per poter superare – ha spiegato – . Il territorio è un problema da superare. Siamo immaturi in un processo che ci deve vedere attivi perché le malattie croniche sono in aumento e la spesa inevitabilmente aumenterà. Bisogna tenere conto che l’ospedale e il territorio hanno una logica differente. Va bene il dipartimento infermieristico se porta però con sé parole chiave come omogeneità, forza e crescita professionale, percorsi di assistenza di qualità. Non si deve ripetere il vecchio schema di dipartimento. È inutile dire che il territorio non funziona: il territorio è fermo a leggi superate per il tipo di società in cui siamo inseriti. C’è tanto da fare partendo da università, professionalizzazione, politiche e collaborazione fra professionisti».

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