di Carla Ceretelli
Dispiacere duplice, culturale e sociale, per il fallimento del Caffè letterario simbolo della cultura fiorentina dall’800. Chi non lo conosce?
“Continua lo stato di crisi dello storico caffè delle Giubbe Rosse in piazza della Repubblica, dove lavorano 20 persone in pianta stabile e altri 20 stagionali… ” si leggeva sui media a fine settembre.
“Dopo le udienze, il 27 giugno e il 19 settembre, per la presentazione del ‘piano di salvataggio’, c’è stata una nuova proroga per dar modo ai legali di produrre altri documenti . Il 10 ottobre il Tribunale valuterà in via definitiva il concordato con continuità aziendale proposto dai proprietari debitori.“
Dopo 130 anni il Caffè, ritrovo di eccellenze culturali poetico letterarie e artistiche, chiude i battenti. Sopravvissuto a due guerre mondiali, all’alluvione e all’avanzata, gestita senza criterio e buon senso, della modernità e della globalizzazione multietnica e multiculturale, non ce l’ha fatta a sopravvvere.
Le recenti amministrazioni comunali hanno svenduto tutta Piazza della Repubblica, a pezzi. Anche a causa di cantieri posti in essere dall’attuale governo, che hanno creato problemi perfino agli artisti di strada e non solo a quelli elitari. Cantieri che si sa quando aprono, ma non quando chiudono. A lavori conclusi, per altro, non sempre a regola d’arte. Come quello della Piazza, centro effettivo della città, fin dall’epoca romana. Qui, esattamente dove si trova la Colonna dell’Abbondanza. Oggi, risultato dell’ammodernamento urbano di Firenze capitale dal 1865- al 1871.
Cantiere che sarebbe dovuto terminare entro dicembre. Sindaco, assessore allo sviluppo economico e ai lavori pubblici ” mentre le Giubbe Rosse abbassavano per l’ultima volta il bandone, erano intenti a festeggiare l’approvazione di un bilancio che condanna Firenze ad altri 5 anni di cantierizzazione selvaggia, con danni irreparabili per chi lavora”. Per chi intraprende e per i dipendenti.
Chissà come ironizza qualcuno, non lontano da ipotesi veritiera, se verrà sostituito da un bel temporary shop di abbigliamento trendy o magari di abbigliamento etnico con annessa kebaberia.
Tutto in nome e a favore del mercato, la concorrenza, la libera imprenditoria . Sane, quando la concorrenza è leale e i libero mercato equilibrato e organizzato da, e con, norme razionali e di buon senso. Patologiche, quando dettate dall’unica volontà di far cassa.
Il fallimento è stato ufficializzato venerdì 21 dicembre, nonostante il ritiro in extremis di due istanze di fallimento, dell’imprenditore Carotti e della società Ice Company.
Il pm nella istanza per la dichiarazione di fallimento e in udienza si è mostrato irremovibile. «La società versa in uno stato d’insolvenza irreversibile».
Il Tribunale ha disposto tre mesi di esercizio provvisorio dato che la cessazione immediata dell’attività potrebbe determinare un danno grave. Verrebbe infatti azzerato il valore dell’avviamento e si perderebbe il know how.
Dopo un tira e molla fra creditori imprenditori, passaggio di marchio e piani industriali, si può ipotizzare anche una procedura competitiva, un’asta, insomma.
Incrociamo le dita e auspichiamo il meglio. Se son rose fioriranno, e speriamo senza o con poche spine. Per la città e le sue tradizioni, per 40 nuovi disoccupati.