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Un paese misto di burlesque, di farsa fra sesso e sport, agitato per il Milan cinese ma non per le nostre aziende vendute all'estero

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Di Umberto Cecchi

Un amico mi chiede: ‘Faremo la fine della Turchia’? No gli dico, quello che sta accadendo in Turchia ha il senso del tragico, da noi c’è quello del tragicomico. Nemmeno i drammi a casa nostra, assumono il valore che dovrebbero avere. Siamo così: un misto di burlesque, di farsa alla Dapporto: fra sesso e sport; di dramma di Benelli, beffardo, rissoso alla toscana. E mentre gli attori si agitano sul palcoscenico, noi, gli spettatori, ci agitiamo davanti al fatto che il Milan non è più ‘res italica’. Mentre non abbiamo mai detto una parola, versato una lacrimuccia, per nessuna delle nostre aziende vendute oltre i confini, per altre rovinate da pessimi amministratori, o per altre ancora, vedi Taranto, chiuse per legge, da un giorno all’altro, senza un progetto intelligente di recupero. E  così abbiano ucciso, come a Piombino, la nostra produzione d’acciaio. Che era florida. Secondo gli esperti tedeschi, che se la ridono, l’azienda inquinata poteva e doveva essere salvata a tappe. Non chiusa.

Insomma il settimo paese industializzato del mondo, sta diventando un povero barbone, capace a fare ma impossibilitato: perchè lo stato perde tempo con le sue burocrazie rallentando tutto, perché i nostri vicini ci assaltano di brutto e ci portano quello che resta ancora. Perchè lasciamo che grandi industrie si spostino in altri mondi e paghino le tasse altrove.  E intanto il paese si sbriciola e nessuno aiuta nel modo giusto i sensacasa dei comuni terremotati: casette che arrivano goccia a goccia, soldi che non saltano fuori, comuni in bancarotta con sindaci abbandonati a se stessi. Ogni tanto, come nelle tragicommedie, passa un principe arrivato da lontano, si mostra addolorato, bacia un ministro che non diventa un principe anche lui, ma resta rospo. A gracidare spiegazioni che hanno un minimo di verità se non incapacità.

Ma siamo degli incapaci giulivi. Ed è questo il comico: ci convinciamo a starcene allegri, a differenza dei turchi, che sono andati a votare bestemmiando, in un regime plumbeo, predittatoriale e hanno dato un risicato sì al sultano Erdogan. Che tuttavia ha avuto, come voleva, pieni poteri. E il cinquanta per cento del paese ha paura.

Noi affondiamo e abbiamo prolemi di week end.  Tragico? No tragicomico. Con un copione  scritto alla meno peggio da un autore di campagna. Dove dentro c’è tutto: voglia di potere, sete di gloria, recanche all’italiana, un paese che tende a dividersi fra nord, centro e sud, banche che rapinano solti e se la cavano: soprattutto se la cavano quelli che hanno autorizzato la rapina, ai rapinati non resta che piangere. E ancora venti di trame oscure che non mancano mai, magistrature con la  fregola dell”attore istrione ‘servizi’ che servono chi comanda o cercano di disarcionarlo, e politici senza fregola alcuna, solo quella di salvare il posto, non il paese. Tutta gente alla quale – come dice Dante – ‘si fa notte avanti sera’. Insomma, incurante e incapace .

In questo momento la tragicommedia è ferma per intevallo fra un tempo e l’altro. Tutto bloccato: c’è da eleggere il segretario del Pd, un partito che pur non essendoci ha preso il potere, che non ntende affatto mollare. Neppure davanti allo scenario che ha di fronte. Ma che fare? Come diceva Lenin, che invece sapeva benissimo cosa fare. Che fare? L’orizzonte è quello che è: ieri in Italia c’erano i De Gasperi, i Togliatti, i Nenni i Craxi e i Fanfani. Oggi abbiamo uno stuolo di Carneadi: basta guardare i candidati a segretario del Pd. Cala la tela. 

 

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