Un tavolo di confronto sul tema della guida dei mezzi di soccorso da parte degli infermieri. È quanto chiede l’Ordine delle professioni infermieristiche interprovinciale Firenze-Pistoia in una lettera inviata all’assessore regionale alla salute Stefania Saccardi, al direttore regionale della Direzione diritti di cittadinanza e coesione sociale Monica Calamai e a varie figure dell’Azienda Usl Toscana Centro: il direttore generale Paolo Marchese Morello, il direttore del dipartimento di emergenza urgenza Simone Magazzini, il direttore del dipartimento infermieristico Paolo Zoppi, il direttore dell’area 118 Piero Paolini e il direttore dell’Uos rischio clinico Francesco Venneri.
«Si tratta di una battaglia che l’Ordine porta avanti da tempo – spiega Danilo Massai, presidente di Opi Firenze-Pistoia – per chiedere alle istituzioni provvedimenti in merito alla prassi di affidare ai professionisti sanitari la guida di autoambulanze e automediche durante le procedure di soccorso. Un ruolo che non rientra nel profilo professionale dell’infermiere e che si carica di ulteriori problematiche da quando, nel 2016, è stato introdotto il reato di omicidio stradale. Il nostro obbiettivo è quello di aprire un dialogo sui rischi che gli infermieri tuttora corrono durante l’espletamento dei servizi assegnati quotidianamente, rischi che non sono nemmeno compresi nelle mansioni e nelle competenze delineate dal loro profilo professionale. Per questo abbiamo affidato a un consulente esterno l’incarico di stilare un quadro giuridico dettagliato».
Se da un lato l’impiego degli infermieri come autisti determina uno svilimento della categoria, destinando gli infermieri a mansioni che non gli appartengono né gli competono per legge, dall’altro li espone a potenziali rischi nello svolgimento della propria attività professionale, non essendo la mansione di autista svolta dall’infermiere oggetto di una specifica regolamentazione. Sono tre le problematiche principali legate alla guida dei mezzi di soccorso da parte degli infermieri: l’assenza di una specifica copertura assicurativa, la mancanza di un titolo specifico che abiliti alla guida dei mezzi e le situazioni che possono verificarsi sulla strada ed imputabili a condotte colpose dell’infermiere/autista.
Per il primo punto, essendo la mansione di autista al di fuori delle funzioni di natura sanitaria che per legge l’infermiere è chiamato a svolgere, non è prevista dalla legge alcuna copertura assicurativa ad hoc a tutela del personale sanitario per eventuali infortuni che l’infermiere/conducente dovesse riportare alla guida di un’ambulanza e da lui causati e imputabili a titolo di colpa. In tali casi non potrebbe invocare la copertura assicurativa prevista dal contratto di categoria: l’infortunio si verifica infatti durante l’orario di lavoro ma durante lo svolgimento di una mansione diversa da quella prevista. Non sarebbero coperti neppure dalla RCA Auto stipulata dall’Azienda proprietaria del mezzo, poiché l’assicurazione obbligatoria prevista per i veicoli a motore tutela i danni materiali e non patrimoniali subiti da terzi e non dal conducente/danneggiante (nel caso in cui l’infermiere provochi un incidente, senza coinvolgere altri mezzi, con danni alla propria salute).
Per l’autista dei mezzi di soccorso poi, a differenza dei Corpi di Polizia, non è prevista una patente di servizio. Questo comporta due conseguenze: tecnicamente l’infermiere non ha la giusta preparazione teorica e pratica alla guida di tali mezzi che, per dimensioni, peso, attrezzature e condizione delle persone trasportate, richiederebbe una specifica ed opportuna formazione. In più, visto che in caso di reato stradale viene sospesa la patente a finalità di prevenzione sociale, impedendo al condannato di guidare, l’infermiere si vedrebbe sospesa l’unica patente che ha, quella personale. Con conseguenze sia sul piano lavorativo che sociale.
Infine, è cruciale fare luce su quanto previsto dalla Legge 41 del 23 marzo 2016, con la quale sono stati introdotti i nuovi reati di omicidio stradale e lesioni personali stradali. Previsto, ad esempio, l’arresto obbligatorio in flagranza di reato per il delitto di omicidio stradale e l’arresto facoltativo in flagranza per il delitto di lesioni colpose gravi o gravissime. Secondo la legge, prendendo in esame l’eventualità più grave, ovvero l’incidente mortale, è prevista la reclusione da 2 a 7 anni per aver causato l’incidente in violazione di una norma stradale; da 5 a 10 anni per ebbrezza (0,8 g/l) o alta velocità, inversione di marcia in prossimità di dossi, intersezioni e curve, semaforo rosso, contromano, sorpasso in corrispondenza di strisce pedonali o linea continua. Da 8 a 12 anni per ebbrezza grave o droga. Sospensione della patente per 5 anni nel caso più lieve, per 15 anni nelle ipotesi più gravi.
Escludendo lo stato di ebbrezza e l’uso di sostanze stupefacenti per chi guida i mezzi di soccorso, tutte le altre situazioni che aggravano l’omicidio stradale possono verificarsi: l’emergenza, di per sé, richiede velocità, sorpassi, il superamento del semaforo rosso all’intersezione. E se l’incidente mortale è per fortuna un’ipotesi abbastanza remota, le nuove lesioni stradali (Art. 590-Bis del Codice Penale) prevedono reclusione da 3 a 5 anni e sospensione della patente per 5 anni. Non esiste alcuna attenuante a favore di quelle categorie che possono trovarsi in tali situazioni svolgendo un intervento di urgenza o emergenza, come gli infermieri alla guida dei mezzi di soccorso: sarà quindi configurabile il reato di omicidio e di lesioni stradali laddove ricorreranno tutti gli elementi del caso. In ogni caso, il diritto di urgenza deve comunque sottostare alle esigenze di sicurezza pubblica e di salvaguardia della vita degli utenti della strada: sirena e lampeggianti non esimono il conducente in divisa dalle responsabilità che derivano dal principio fondamentale del “neminem laedere”, cioé adottare la massima prudenza per evitare di nuocere ad altre persone.
«È evidente – conclude Massai – che esiste una problematica inerente l’impiego degli infermieri come autisti, non solo per lo svilimento della figura professionale ma per le possibili implicazioni civili e penali nella vita personale e lavorativa conseguenti a tale abitudine. Purtroppo, nonostante la questione sia nota alle istituzioni, ad oggi non è stato fatto alcun intervento o proposta per regolamentare la materia e trovare una soluzione alle problematiche sollevate. Per questo rinnoviamo l’appello a sedersi a un tavolo e trovare la giusta soluzione».