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PrimAnteprima: ‘Nesos’, un vino antico che sa di mare

Redazione
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di Elisabetta Failla

Fra i vini più interessanti che abbiamo degustato a PrimAnteprima, l’evento che ha ufficialmente aperto la settimane delle anteprime dei vini toscani, non possiamo non parlare di Nesos, il vino marino frutto di un esperimento scientifico unico al mondo realizzato all’Isola d’Elba.

L’esperimento enologico è stato realizzato dall’Azienda Agricola Arrighi dell’isola d’Elba in collaborazione con il Professor Attilio Scienza, Ordinario di Viticoltura dell’Università degli Studi di Milano e Angela Zinnai e Francesca Venturi del corso di Viticoltura ed Enologia dell’Università di Pisa.

L’idea che sta alla base di questo esperimento è di ricreare dopo 2500 anni un vino antico grazie proprio all’incontro tra Antonio Arrighi, piccolo produttore dell’isola, che da oltre dieci anni sperimentava e vinificava nelle anfore di terracotta di Impruneta, e Attilio Scienza che si stava interessando al vino dell’isola di Chio.

I vini di Chio, piccola isola dell’Egeo orientale, facevano parte di quella ristretta élite di vini greci considerati prodotti di lusso sul ricco mercato di Marsiglia e successivamente di Roma. Varrone li definiva “vini dei ricchi” e, come ricorda Plinio Il Vecchio, Cesare li offrì al banchetto per celebrare il suo terzo consolato.

L’uva nelle nasse immersa nel mare

Come i vini di Lesbo, Samos o di Thaso, quello di Chio era dolce e alcolico – unica garanzia per sopportare i trasporti via mare – ma aveva qualcosa che gli altri vini non avevano, un segreto che i produttori di Chio custodivano gelosamente e che rendeva questo vino particolarmente aromatico: la presenza del sale derivante dalla pratica dell’immersione dell’uva chiusa in ceste, nel mare, con lo scopo di togliere la pruina dalla buccia ed accelerare così l’appassimento al sole, preservando in questo modo l’aroma del vitigno.

Così nacque la volontà di ricreare questo vino utilizzando le uvi di Ansonica, tipica dell’sola d’Elba, probabile incrocio di due antiche uve dell’Egeo, il Rhoditis ed il Sideritis, varietà caratterizzate da una buccia molto resistente ed una polpa croccante che ha permesso una lunga permanenza in mare.

Infatti, Le uve sono state immerse in mare per 5 giorni a circa 10 metri di profondità, protette in ceste di vimini. Questo processo ha consentito di eliminare parte della pruina superficiale, una patina bianca composta da una sostanza cerosa che si trova sulla buccia dell’acino proteggendolo, accelerando così il successivo appassimento al sole sui graticci conservando però gli aromi.

Il vino in anfora

Il vino che viene prodotto però non dolce bensì salato perché il sale, durante i giorni in cui l’uva è immersa nel mare, penetra all’interno degli acini senza danneggiarli. Successivamente le uve, dopo essere state diraspate e pressate, vengono messe con le bucce in anfore di terracotta con tutte le bucce. La presenza di sale nell’uva, con effetto antiossidante e disinfettante, ha permesso di provare a non utilizzare i solfiti, arrivando a produrre, dopo un anno in affinamento in bottiglia, un vino estremamente naturale, molto simile a quello prodotto 2500 anni fa.

Di questo vino, vendemmia 2018, sono state prodotte solo 40 bottiglie, l’ultima vendemmia, la 2019, è nelle anfore di terracotta ancora a contatto con le bucce. Dalle analisi svolte dall’Università di Pisa è emerso che il contenuto in fenoli totali del vino marino è il doppio rispetto a quello prodotto tradizionalmente, e questo grazie alla maggiore estrazione legata alla parziale riduzione della resistenza della buccia.

Il vino ha un colore giallo paglierino scarico e al naso si sentono pochi sentori di fiori gialli e di frutta gialla croccante mentre è molto riconoscibile la sua sapidità, che ricorda le brezze marine tipiche dell’isola e il salmastro. Sul finale appaiono anche delle note balsamiche. Al gusto il vino si presenta molto particolare. La nota sapida anche qui è molto forte accompagnata da una grande freschezza, con una bella acidità che dà in bocca la sensazione di astringenza, mentre l’alcolicità che si sentiva al naso in bocca appare meno marcata. La sensazione prevalente è di bere davvero un sorso mare: un vino dal profumo e dal gusto particolari che forse può non piacere ad un primo assaggio ma che merita conoscere. L’acidità e la lunga macerazione in anfora fa pensare che il vino potrebbe anche invecchiare. Usiamo il condizionale perché l’esperimento è troppo recente e l’invecchiamento è tutto da verificare.

Il legame di questo vino mitologico con l’isola d’Elba è anche di tipo storico. Come tutti i commercianti greci anche quelli del vino di Chio, facevano scalo sulla via del ritorno in patria, all’isola d’Elba e a Piombino, per caricare materiali ferrosi, venendo quindi a contatto con il mondo etrusco. I ritrovamenti di anfore in relitti di navi affondate, nelle tombe o nella costruzione di drenaggi testimoniano che molte città costiere della Toscana etrusca erano tra i luoghi di maggior frequentazione dei commercianti di Chio.

Inoltre, analizzando il DNA di un set di vitigni dell’Isola del Giglio e della Toscana tirrenica e confrontandoli con altri provenienti dal bacino del Mediterraneo, i ricercatori del DIPROVE dell’Università di Milano hanno trovato notevoli analogie genetiche tra il vitigno Ansonica-Inzolia e due vitigni provenienti dall’Egeo orientale, il Rhoditis ed il Sideritis.

La particolare vocazione enologica dell’isola dell’Arcipelago toscano è documentata da Franco Cambi e Laura Pagliantini dell’Università degli studi di Siena, co-direttori dello scavo archeologico della villa rustica romana di San Giovanni, nella rada di Portoferraio. Gli scavi, infatti, hanno portato alla luce delle anfore vinarie e in particolare i dolia defossa: grandi vasi interrati che contenevano ciascuno più di mille litri. I cinque doli ritrovati potevano contenere circa 6.000 litri.

 

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