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Fase 2 / Firenze sarà una città diversa, da ricostruire dopo un turismo che l’ha messa in crisi. Consumandola, viziandola

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Il giorno della ripresa ha avuto una città su due piani: da una parte la riapertura della attività commerciali: ristoranti, barbieri, bar, spacci di generi diversi, tutti tirati a lucido per salutare la vita che riprende, Una vita psicologicamente compromessa, checché ne dica la valanga di esperti che ci hanno insegnato a sopravvivere segregati, dall’altra i coatti improvvisamente liberi in modo definitivo, sia pure con ancora non poche accortezze. Certo, Firenze era una città diversa da quella del pre-coronavirus: gente nelle strade a riacquistare l’idea di una ritrovata semilibertà, ma di negozi affollati, nonostante i mesi di risparmio forzato, non ce n’erano troppi, a parte i parrucchieri e i grandi magazzini di vestiario a prezzi stracciati.

Insomma, segno evidente che ha vinto Internet e i suoi quattro padroni assoluti, con le sue vendite per corrispondenza entrate nelle case grazie alle offerte on line, e quindi acquietato i desideri per i ricambi dell’estate. Il Coronavirus ha fatto il gioco dei persuasori non tanto occulti, che comandano governi che obbediscono e cittadini che si adeguano come sciocchi.  Non facciamoci illusioni, sarà una concorrenza sempre più spietata,come lo sarà per i ristoranti con il servizio a domicilio a prezzi fino a ieri accettabili. Ma c’è già chi dice che da domani saliranno. Molti fiorentini hanno notato che il caffe da più parti costa dieci centensimi più di tre mesi fa. A spiegazione, la risposta è stata che quei dieci centesimi coprivano
il prezzo del bicchierino di carta con il quale si doveva servire la bevanda.

Molti si sono posti l’interrogativo dei prezzi. Saliranno? Saranno calmierati? Come sarà la ripresa? Presumo sia lenta, specialmente per la grandi città turistiche come la nostra. Gli alberghi saranno quelli che ne risentiranno di più e nessuno si illude che la maggioranza dei cittadini prende di mira i ristoranti, tenendo conto anche delle regole dettate sulla geografia dei tavoli e la strategia del servizio. I primi commenti insomma non sono stati affatto tranquillizzanti, e temo che con il tempo peggioreranno.

La città deve capire che l’epoca delle vacche grasse è stato divorato dal virus: ci aspetta un aumento della povertà, già avvertito in questi mesi di quarantena, un calo degli acquisti voluttuari: la città già parsimoniosa di suo, pensa a un futuro incerto dal punto di vista economico e cercherà di risparmiare il più possibile. Il turismo avrà un anno di crisi profonda che metterà in difficoltà il settore alberghiero e tutto il contorno, dai ristoranti fino alle paninerie. Dovremo affidarci a un turismo casalingo che comunque tarderà ad arrivare perché gli italiani devono  liberarsi dalla psicosi della vita serrata in casa che avrà portato più danni psicologici di quanti non si creda. Basta chiedere agli esperti che come i virologi si sono moltiplicati a non finire in questi quattro mesi, ognuno dicendo l’opposto dell’altro.

La parte difficile spetta alla pubblica amministrazione che oltre ai suoi errori ha dovuto assommare anche quelli della Regione e dello Stato, spesso l’un contro gli altri armati. In fondo il grosso lavoro spetta ora al sindaco che deve evitare le gigionate del presidente del consiglio con show televisivi quotidiani e detti e contraddetti in alternanza continua. Nardella ha a disposizione una vecchia, meravigliosa città nuova che deve affrontare un crisi profonda.

E’ cosa diversa dall’alluvione: allora venne gente da tutto il mondo a salvare Firenze e a inventare l’ondata di turismo che ha messo più volte in crisi la città. Consumandola. Rosicchiandola. Ma anche viziandola, come se quel il bengodi dovesse essere eterno. Il commercio è esploso, sono esplosi piccoli negozi di pizze al taglio e di cumuli di macedonie con panna che al solo vederle avrebbero fatto passare la fame a Pantagruel. I prezzi del centro sono saliti alle stelle cacciando via i residenti. In nessuna altra città turistica europea è accaduto qualcosa di simile: il turismo non si è imposto da padrone come è successo qui: le notti non erano il trionfo di una ebeticittà quasi infantile contro la quale nessuno si è mosso.

La cultura, che era alla base dalla vita e della ricchezza della città, era sparita: l’arte non più una ricerca, un momento di riflessione, una trasmissione di idee, ma semplicemente una replica, a volte peggiorata, di quello che producevano gli avventurieri del turismo di piazza. Compito del sindaco è anche questo. Più cura all’arredo urbano, alle strutture culturali – che La Pira aveva utilizzato
magnificamente per fare di Firenze una città sul mondo – per portare in città non pseudodibattiti usa e getta, ma incontri di alto livello. Un consiglio che posso dare al sindaco è quello di non contornarsi di consulenti e tecnici che pullulano, formati e arrivati da chi sa dove. Ma da conoscitori della città che ne reimpostino la storia futura rifondando tutti gli orribili orpelli e la terribilesottomissione venale, alla quale eravamo arrivati. Un paese dei balocchi.

Un’ultima cosa: nel Rinascimento, Il Magnifico non chiedeva a Pico della Miradola di che parte fosse, e mercanti e imprendotori, ogni anno, per ringraziare Dio dei buoni affari, offrivano qualcosa alla città. Una chiesa, un’opera d’arte, una biblioteca. Oggi nemmeno uno spillo.

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