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Morto Pierfrancesco Listri. Così lo ricorda Umberto Cecchi

admin
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Era malato da anni, i suoi occhi acuti, intelligenti sembravano chiederti aiuto, aiuto su tutto, sulla vita che lui aveva bruciato in una sorta di battaglia profonda, tra avere e essere in contrasto continuo fra il piacere di scrivere le cose che amava, e la necessità di dover lavorare su temi che avrebbe preferito ignorare. In un vortice di vita nel quale doveva scrivere di tutto. Pierfrancesco era un meraviglioso vecchio bambino che ogni giorno guardava la vita in modo nuovo, e scopriva realtà sempre diverse come improvvise conoscenze che per decenni gli fossero sfuggite. Ma non era così. Niente gli sfuggiva, vedeva cose con occhi diversi e anche con una diversa capacità di comprenderne aspetti diversi, che negli anni erano andati mutando.

Ho sempre pensato che avesse un carattere gioioso, per poi, in seguito a una lunga amicizia e a una vicinanza operativa aveva scoperto che la sua era tristezza profonda, quasi una solitudine assoluta che si scioglieva solo di fronte a una macchina per scrivere e più tardi a un computer che non amava: c’era fra i due un contrasto aperto fra la mente di un uomo con una intelligenza superiore e quella banalmente cibernetica di una macchina spesso bizzosa. No non l’amava avrebbe potuto tenere meravigliose lezioni sull’uomo raziocinante e il suo doppio artificiale. Ogni tanto ne discutevamo, senza farci troppo ascoltare dai colleghi che non avevano di questi problemi.

La sua era una accattivante voce radiofonica le sua prosa uno slalom fra punti e virgola, uno slalom incredibile fra i punti e le virgole e un gioco strano del disporre del punto e virgola, una prosa suadente : una sua conferenza era come la romanza di un’opera lirica: catturava l’attenzione, come catturava l’attenzione scrivendo: frasi fluide, e la semplicità della parola a ogni cosa dava un’anima, ogni cartella era in piacere pro;fondo, faceva dimenticare gli stentati scrittori di moda, quelli che, una frase qua una frase la, banale cose una filastrocca per bambini, o aggrovigliata come un pruneto, piaceva ai lettori d’oggi e quindi anche agli editori: I vecchi adeguati al solo guadagno – come diceva Pierfrancesco – e in nuovi nati, che inventavano lo scrittore prima ancora avesse comicato a scrivere i suo libro annuale. E’ il mercato diceva, lui. ma il vecchio Bompiani non rinasce non glielo permetterebbero.

Lui non aveva mai presentato un suo libro a qualche scrittore di fuoricasa:una ventma di opere che avrebbero meritato maggior attenzione per essere pubblicare. Anche da parte sua. Ma era inseguito dal lavoro. Pungolato da questo e quello per qualcosa di nuovo che lo assillava di continuo. E lui scriveva, scriveva, mettendo la sua intelligenza e vitalità in un mucchio i cose che in natura non avevano. La toscana era il suo mondo, una regione che amava profondamente e che descriveva con una forza notevole, mostrandoci aspetti architettonici o pittorici tramite una sua lettura del tutto nuova, ricca di sfumature ce ci erano sempre sfuggite e la incontravamo grazie a lui. Alle sue conferenze, ai suoi libri, più di una ventina in tutto. Provavo un gran pacere quando parlavamo insieme a una conferenza a due voci, o ci confrontavamo alla televisione. Era un signore come pochi altri di una cultura incredibile, certe volte avrebbe potuto triturarmi non non lo ha mai fatto. E se glielo dicevo a cose fatte sorrideva triste: la maggior parte dei nostri ascoltatori non sapeva neppure di cosa parlavamo.

Era distratto fin da giovane, non si può nespure dire che da vecchio era peggiorato. Quarantenne, gli si bloccò la macchina su un incrocio dei viali. Totalmente incapace di trattare un motore a scoppio, scese, la lasciò lì, arrivato al giornale scrisse un articolo di corsa, si dimenticò della macchina che fu portata via e rimase alcuni anni in deposito comunale. Fin che non lo chiamarono a pagare. Fiorino D’oro, o no, il comune voleva incassare. Ha scritto su decise di giornali e riviste italiane, cominciando con il Nuovo Corriere di Bilenchi che  poi fu redattore capo a La Nazione per anni, ma chi sa come mai, come diceva Pierfrancesco, nella sua biografie questo non si dice ,mai. Vedrai che succederà anche a noi. Addio Pierfrancesco, ora che sarai assolutamente libero, scriverai finalmente tutto quello che vorrai in quella tua lingua che sarebbe stata eccezionale per ricordare Dante Alighieri. Ti abbraccio.

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