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Spondilite anchilosante, in 40mila con colonna a ‘canna di bambù’

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Oltre 40.000 persone, secondo l’Associazione nazionale malati reumatici, in Italia fanno i conti con la spondilite anchilosante, malattia infiammatoria cronica che, se non trattata adeguatamente, potrebbe portare a una progressiva riduzione della capacità di movimento della colonna vertebrale, fino ad arrivare alla conformazione della cosiddetta “canna di bambù”.  

Fa la sua comparsa con un dolore che si concentra nella zona lombare, fino a irradiare bacino e glutei, persistente per almeno tre mesi. Un dolore non acuto che insorge e peggiora stando a riposo, anche di notte, mentre migliora con il movimento e l’esercizio fisico. Dunque, non il classico mal di schiena meccanico, con il quale ha poco in comune. È quanto riporta un articolo pubblicato da Alleati per la Salute (www.alleatiperlasalute.it ), il portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis.  

A differenza del mal di schiena, che fa la sua comparsa a qualunque età e il cui dolore il più delle volte è associato a lesioni o a strappi che migliora a riposo, la spondilite anchilosante esordisce in giovane età, in particolare nei soggetti di sesso maschile, e tende ad avere una evoluzione molto lenta. Non è una patologia frequente (coinvolge meno dell’1% della popolazione) ma la sua sintomatologia è invalidante.  

Nelle fasi più avanzate il processo infiammatorio può risalire lungo la colonna vertebrale e interessare anche la regione dorsale e cervicale, con tendenza nelle fasi più avanzate alla anchilosi vertebrale. In questo caso si assiste a una compromissione della normale curvatura della colonna vertebrale con tendenza alla gibbosità. Questa conformazione, frequentemente osservata negli anziani, deve immediatamente portare il medico al sospetto diagnostico di spondilite anchilosante quando dovesse essere riscontrata in giovane età. È chiaro che in tali condizioni il paziente può avere difficoltà nello svolgimento di molteplici attività della vita quotidiana, come guidare l’autovettura o restare seduto a lungo.  

Come se non bastasse, talvolta il paziente è costretto a fare i conti anche con altri disturbi: episodi di infiammazione al tendine di Achille, dolori a carico del calcagno e/o della regione plantare, infiammazioni agli occhi con dolore, arrossamento e ipersensibilità alla luce (uveite).  

Nonostante esistano trattamenti efficaci – si legge nell’articolo – il problema della patologia è il ritardo con cui viene diagnostica. Secondo un sondaggio condotto da Anmar Onlus (Associazione nazionale malati reumatici), il 60% dei malati ha dovuto aspettare più di tre anni dalla comparsa dei primi sintomi evidenti prima di avere una diagnosi, solo il 29% sostiene di aver una buona qualità di vita e otto su dieci affermano di provare un senso di smarrimento e la necessità di parlare con qualcuno del proprio disagio anche attraverso il web. “Ma per una diagnosi di spondilite anchilosante – afferma Silvia Tonolo, presidente di Anmar – ci sono pazienti che aspettano anche 7-8 anni. E senza una diagnosi precoce è impossibile mettere in stand-by la malattia”.  

Ad oggi vi sono ottimi trattamenti per arrestare la progressione della patologia e controllarne i sintomi. Gli obiettivi prioritari nella gestione terapeutica della malattia sono l’attenuazione del dolore e della rigidità per ripristinare e mantenere la corretta postura e un’ottima mobilità articolare. Ma per garantire migliori condizioni di vita ai pazienti bisogna favorire interventi terapeutici tempestivi. Fondamentale diventa quindi il ruolo del medico di medicina generale, interpellato alla comparsa dei sintomi iniziali nel 45% dei casi, nell’indirizzare il paziente verso lo specialista più appropriato per la patologia ovvero: il reumatologo.  

Anche le abitudini di vita rivestono un ruolo centrale nella patologia, potenzialmente in grado di influenzare positivamente lo stato di salute, come ad esempio una dieta equilibrata, un sonno ristoratore e il supporto psicologico da parte della famiglia e degli amici. Altrettanto fondamentale è l’importanza dell’attività fisica mirata nella spondilite anchilosante, che se svolta quotidianamente, aiuta a mantenere una postura corretta, contribuisce a migliorare l’escursione articolare e svolge un’azione antalgica. Tuttavia, è necessario farsi guidare, soprattutto all’inizio, dal fisiatra e fisioterapista al fine di ottenere il massimo beneficio.  

L’articolo completo è disponibile su: https://www.alleatiperlasalute.it/diagnosi/spondilite-anchilosante-non-un-semplice-mal-di-schiena.