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Il Donbass, i confini e le identità: la politica di Putin

Lorenzo Ottanelli
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I confini sono labili, linee spezzabili, oltrepassabili. I confini sono terre di tensioni, regioni di coabitazione, luoghi da contendersi, strumenti geopolitici da ottenere e liberare. I confini tornano ad essere, oggi più che mai negli ultimi trent’anni, i veri baluardi di identità tradite che vogliono essere ripescate, riutilizzate, annesse nuovamente.

L’Ucraina ne è l’esempio più importante. Il Donbass la regione più contesa. L’autodeterminazione del popolo è spezzata a livello teorico e pratico da interessi politici e nazionali contrapposti: i filoseparatisti si sentono russi, gli altri vogliono rimanere in Ucraina. Nessuna indipendenza territoriale: o dall’una o dall’altra parte.

Putin lo ha spiegato senza mezzi termini: gli ucraini fanno parte del popolo russo e l’occidentalizzazione di una parte del popolo è inaccettabile. Non è solo la Nato, non è solo l’Unione Europea, entrambe intese come istituzioni, una militare e una politica. Entrambe sono la conseguenza di un’ibridizzazione, il venir meno di un popolo puro con le proprie tradizioni e i propri costumi. La perdita dell’innocenza russa, per dirla come la direbbe il filosofo, è un’eresia che la Federazione non può più accettare. La Madre Russia accoglie i suoi figli, di nuovo. La nostalgia dell’Unione Sovietica, un ideale da contrapporre all’Occidente è sempre più presente.

Tuttavia, non c’è un ideale russo da contrapporre a un ideale occidentale. O meglio, non c’è nelle considerazioni novecentesche. Il nuovo ideale non è un modello economico, comunista o capitalista, ma uno identitario, culturale, sociale, religioso. La tradizione russa va preservata dallo sviluppo identitario occidentale che decostruisce tutto ciò che era stabile, fermo e sicuro. Destabilizza le famiglie e le istituzioni classiche. Tutto si ridefinisce e la stabilità perde forma.

Ma non c’è solo questa parte della medaglia. La Russia non funziona: il paese si impoverisce, la stabilità di Putin è ai minimi storici, le opposizioni si risvegliano, l’economia è a un passo dalla crisi e la pandemia ha peggiorato la situazione. Cosa può fare oggi il presidente russo se non tentare di ottenere di nuovo la fiducia dei propri cittadini? I russi sono un popolo patriottico e sperano di vedere di nuovo tutto il popolo russo riunito. Il fronte interno è il vero motore delle azioni di Mosca.

Deve, però, essere fatta una considerazione ulteriore: la Russia è povera e non è stato investito molto in sviluppo, se non sulla strumentazione militare. Putin ha questo come punto di forza: l’esercito. L’influenza sul mondo, infatti, è esercitata solo in parte, l’egemonia neocoloniale è in mano alla Cina, sua alleata. Le uniche prove di comando le può fare da questa parte del mondo, dove ha ancora un’importanza geostrategica: sulla fornitura di gas e sulla questione identitaria.

Tutto ciò amplifica le possibilità di un conflitto armato alle porte dell’Europa. Un conflitto reale che non si vedeva dalle guerre in Jugoslavia, di cui ci ricordiamo poco. Un conflitto armato che, però, stavolta riguarda le superpotenze e mostra l’inadeguatezza dell’Europa, la volontà di Mosca e il ritorno della Nato.