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Eccidi, fosse comuni e cambi di strategia. La guerra in Ucraina non si ferma

Lorenzo Ottanelli
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Immagini di fosse comuni, eccidi, torture. I corpi lasciati sulle strade di Bucha, che hanno riportato l’attenzione sul conflitto. Una strage che conta migliaia di civili uccisi senza colpe. Non per guerriglia, non per difesa, solo per una logica militare infima: radere al suolo le coscienze, limitarle al minimo e renderle inermi. Così le menti e i corpi dei combattenti si sfiniscono e si costruisce un’immagine di inevitabilità: l’Ucraina ha già perso, finiamo questo scempio.

Gli ucraini continuano a combattere, non vogliono tornare sotto l’egida russa. Sarebbe una debacle, un ritorno a una situazione precedente, un passo verso il passato, nella direzione di un’autarchia che non vogliono più sperimentare. Zelensky è il capo della resistenza, non se ne è andato quando poteva. Ha preferito rimanere a Kiev, a coordinare il lavoro delle sue milizie.

Putin voleva la resa, si immaginava un esercito pronto a capitolare il proprio presidente. E invece il paese si è dimostrato completamente pronto a resistere. È l’eredità del 2014, degli eventi di Piazza Maidan, di quelli di Odessa, della Crimea e del Donbass, dove la guerra non si è mai conclusa. Gli ucraini temevano, in una tensione che già sembrava palesare un intervento lo scorso anno, proprio in questo periodo, quando Putin aveva già studiato esercitazioni al confine, ma mai come questa volta, pronti a colpire dai tre versanti disponibili.

E così il leader russo, che aveva l’intento totale di riportare un’identità slava anche ad un paese che ha maturato una predisposizione occidentale, si è visto costretto a ridefinire la propria strategia: annettere finalmente il Donbass e farsi riconoscere la Crimea. Una vittoria a metà, quasi una sconfitta rispetto alla volontà originaria.

Il conflitto, tuttavia, non è concluso ed ha lasciato dietro a sé vittime innocenti e situazioni indecenti con un timore specifico, l’atomico. Non tanto e solo per l’ordigno, ma per i bombardamenti vicino alle centrali, a Cherenobyl (oggi sotto controllo russo), dove si registrano radiazioni superiori alla norma. Errori, strategie della tensione che si spingono troppo oltre e dichiarazioni insensate, belligeranti, dall’una e dall’altra parte.

Tendere verso un negoziato è l’unica soluzione. Ma quanti lo vogliono adesso? Macron, che oggi prospetta di ottenere un secondo mandato presidenziale, ha tentato plurime volte, inutilmente. Biden, al contrario, ha costruito una strategia oppositiva che ha fatto infuocare le prove di diplomazia. Oggi, chi può davvero negoziare? Una parola, tra l’altro, che negli ultimi giorni è quasi scomparsa dal vocabolario delle parti in causa.

Lo spingersi in avanti della guerra sarebbe un problema mondiale. La Cina non vede l’aggressione all’Ucraina di buon occhio, perché ha necessità di riprendere il commercio europeo, ora in stallo. Pechino, tuttavia, potrebbe ancora tentare di sfociare in un terzo conflitto mondiale se decidesse di annettere Taiwan, ma ciò sembra distante dalla realtà. In fondo, dicevamo lo stesso per l’Ucraina…