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Silicon Valley Bank non è Lehman Brothers ma è un allarme per tutti

Adnkronos
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(Adnkronos) – Il fallimento di una banca americana, Silicon Valley Bank, richiama immediatamente il fallimento per eccellenza, il più grande fallimento della storia, quello di un’altra banca americana,

Lehman Brothers. Non è solo una banale associazione giornalistica, è anche un riflesso condizionato che riporta a galla il trauma che si è consumato il 15 settembre 2008, quando è caduto il mantra del ‘too big to fail’, aprendo una crisi globale e di sistema.
 

Prima di andare avanti è indispensabile premettere che no, Silicon Valley Bank non è Lehman Brothers e che non sembrano esserci le condizioni perché si inneschi, 15 anni dopo, una crisi simile. Il fallimento di Silicon Valley Bank non è però un evento che si può minimizzare, perché rappresenta un allarme che riguarda tutti all’interno del sistema finanziario: il sistema bancario, la vigilanza, le banche centrali, le agenzie di rating, gli intermediari che operano sui mercati e gli investitori.
 

Sono stati commessi degli errori, sia nella gestione della banca sia nei mancati interventi della vigilanza, e sono stati pagati nella maniera classica dei crack finanziari, pagando all’improvviso tutto il conto di una gestione dissennata. In un’intervista a Repubblica, il Ceo di illimity Corrado Passera, l’ha spiegato con parole che ammettono poche discussioni: “Si sono accumulati errori clamorosi per la gestione corretta di una banca, cioè lo sbilanciamento forte tra raccolta di depositi a breve e l’impiego a lungo termine, il cosiddetto mismatching delle scadenze, oltre alla concentrazione dei rischi su pochissimi settori”. Il parere di Passera è rilevante perché il banchiere
conosce il sistema bancario sia dalla prospettiva della grande banca, avendo a lungo guidato Intesa Sanpaolo, sia da quella di una banca innovativa, digitale, come quella che ha fondato e che guida tutt’ora. E quando dice che le autorità americane sono intervenute tardi introduce l’altro elemento chiave della discussione. Quando la gestione non è né prudente né tecnicamente rigorosa servirebbe l’intervento tempestivo del regolatore, che invece arriva spesso fuori tempo massimo.
 

E’ proprio questo l’aspetto del fallimento della Silicon Valley Bank che ne rende la portata più significativa: il ruolo e le responsabilità della Fed e delle autorità americane. Il Wall Street Journal ha affidato a un editoriale quella che definisce “la spiacevole verità che Washington non ammetterà mai”, ovvero che “il fallimento è il conto pagato agli anni di errori della politica monetaria e regolatoria”.
 

La tesi che sostiene questa affermazione è che si sia ricreato un ecosistema in cui il fallimento di una banca non solo è possibile ma diventa probabile. Non a caso, dopo il fallimento di Svb è arrivato quello di Signature Bank e, non a caso, si sta creando tensione su altri istituti bancari regionali americani, primo fra gli altri First Republic Bank,
finiti nel mirino della speculazione e delle vendite, ed è per questo che anche Piazza Affari, come le altre borse europee, sta pagando un ritorno al’incertezza che diventa globale nonostante sia partito da una banca locale negli Stati Uniti.
 

Perché quando si innesca il panico sui mercati non bastano neanche le rassicurazioni più autorevoli. Che siano del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, “nessun costo per i contribuenti”, o del commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni per l’Europa, “nessun contagio”. In Italia, le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti richiamano ancora il ruolo delle banche centrali, nel caso specifico della Bce. “Apprezziamo la tempestività con cui le autorità americane sono intervenute e confidiamo che, se necessario, anche le autorità europee intervengano con la medesima tempestività valutando anche le implicazioni per la condotta della politica monetaria e per la stabilità finanziaria”. Sulla tempestività c’è da discutere, sul fatto che la Fed e la Bce debbano rivedere le proprie strategie alla luce di quello che sta succedendo ci sono invece pochi dubbi. (Di Fabio Insenga)