Home ULTIM'ORA ‘Ritorno nella città senza nome’, il thriller ‘autobiografico’ di Natasha Stefanenko

‘Ritorno nella città senza nome’, il thriller ‘autobiografico’ di Natasha Stefanenko

Adnkronos
93
0

(Adnkronos) – Un romanzo ad alto tasso thriller, tanti elementi da spy story, una città segreta sperduta tra gli Urali, ma anche una storia largamente autobiografica. E’ questa la narrazione scelta, ideata e raccontata da Natasha Stefanenko, attrice e conduttrice tv ma anche imprenditrice, nata a Sverdlovsk­45, la città senza nome, nel libro dal sapore noir: ‘Ritorno nella città senza nome’ (Mondadori), in uscita domani nelle librerie. Crescere in una città segreta, assente da ogni carta geografica, a 36 ore di treno da Mosca e con temperature fino a -50, ti lascia tanto, oltre la gran voglia di caldo ed una cruda avversione ai treni.  

“Il mio gioco preferito, quando il freddo esterno gelava persino i pensieri, era correre fino a scuola a perdifiato, senza chiudere gli occhi, in modo che le ciglia si gelassero fino a formare dei piccoli ghiaccioli. Entrando, volavo allo specchio e per pochi attimi, senza sbattere le ciglia, con quelle gocce che sembravano perle e che ora si scioglievano sul viso, mi sentivo una principessa”. Lo racconta Natasha Stefanenko che da circa 15 anni scrive e appunta ricordi della sua infanzia per poter un giorno, e il momento è arrivato 8 mesi fa, scrivere un romanzo “largamente autobiografico”.  

“L’85% di quello che ho scritto è vero. Solo le cose più avventurose non sono successe, anzi alcune si…”, spiega la Stefanenko in una intervista con l’Adnkronos. “Da quando sono arrivata in Italia ho capito che il mio passato era perlomeno curioso, non proprio ordinario, così, con l’aiuto di mio marito Luca (Sabbioni ndr.) che scrive molto bene, ho iniziato questo lungo processo che ci ha portato oggi qui. All’epoca credevo che tutto il mondo funzionasse come nella mia città natale. Quando più tardi, ai tempi dell’università, iniziai a studiare a Mosca, realizzai che pochi, per non dire nessuno, conoscevano questa realtà. I nuovi amici rimanevano sbalorditi quando raccontavo della mia città”. 

Il romanzo è la storia di una sparizione, di una ricerca e di un amore tormentato, ma soprattutto è uno squarcio sulla vita dell’Unione Sovietica all’alba del suo sgretolarsi, nei primi anni Novanta. Con l’intreccio delle due storie, Natasha Stefanenko racconta l’anima di un paese grande, inquieto e disorientato, l’Urss, che vive in quel periodo la fine di consolidate certezze e la dirompente irruzione di nuove libertà. La storia è in parte ambientata a Mosca e in parte a Sverdlovsk­-45, la città senza nome dove è nata e cresciuta e dove si produceva uranio altamente arricchito per bombe e armi nucleari. Una città che non esisteva sulla carta geografica, ed il suo nome: Sverdlovsk 45, serviva a confondere, poichè Sverdlovsk era in realtà il nome della città più vicina, quella che ora si chiama Ekaterinburg e che dista 250 chilometri”. 

“Non volevo scrivere un libro noioso, completamente autobiografico, autocelebrativo, così ho intrecciato un tocco di fantasia alla tantissima verità per dare ritmo alla narrazione. Nel libro racconto quello che è accaduto in Russia in due anni in particolare, il 1991 e il 1992, anni turbolenti, complessi ma di grandi esperienze. Un periodo storico, in cui tutto il mondo ci guardava con il fiato sospeso: cadevano le nostre certezze ma si conquistavano tante libertà, anche se c’era tanta contraddizione. Volevamo libertà, ma eravamo incapaci, di capire fino in fondo, cosa significasse veramente questa parola. C’era tanta confusione mentale oltre che fisica. Non volevo, però, esprimere un giudizio politico su quel periodo. E’ un romanzo e non un saggio e non ha alcun collegamento con l’attualità”, sottolinea l’autrice, anche se sicuramente aiuta a capire meglio la formazione della nostra educazione e quella dei nostri genitori rispondendo così a molti perché.  

“E’ un libro curioso con tanto ritmo, e tanta azione, non volevo appesantirlo. S-45 è una zona ancora chiusa, anche se la popolazione è in forte diminuzione. Durante la guerra fredda c’erano tante realtà segrete, circa 40 di queste città che sviluppavano le bombe nucleari ed altre ricerche per lo sviluppo della grande Urss e della nostra difesa. Subito dopo la guerra fredda Stalin diede l’ordine di costruirle con una velocità estrema. Venivano usati anche i detenuti dei Gulag per farlo”, aggiunge la Stefanenko che dipinge poi la sua infanzia in questo luogo segreto “molto felice”.  

“All’ età di 7 anni, tutti i bambini ricevevano il primo pass per entrare ed uscire dalla città, del quale ancora ne conservo una foto. Mio padre, ingegnere nucleare, che capiva bene dove vivevamo, cercava sempre di sdrammatizzare ogni situazione. Ricordo che quando ero piccola e dovevamo attraversare i controlli, mi diceva che per regolamento, tutti i bambini dovevano recitare una poesia o cantare una canzone ai militari di guardia. Così io mi preparavo e facevo ogni volta il mio spettacolo. Per anni ho pensato che tutte le città del mondo fossero così. Quando ho fatto la prima trasferta con la squadra di nuoto e ho chiesto ad un altro bambino di farmi vedere il suo pass, lui ha pensato che fossi pazza”, racconta ancora divertita Stefanenko che proprio sul nuoto ha un altro aneddoto molto particolare inserito nel libro. “Alexander Popov, ‘lo Zar del nuoto’ come lo chiamavano, è nato nella mia città segreta, ed ha vissuto lì, allenandosi nella stessa piscina di 25 metri dove nuotavo io. Per anni ho pensato, lui è alle Olimpiadi a vincere medaglie e io a studiare sui libri…”. 

La sua famiglia vive ancora in Russia e sta vivendo in prima persona l’atmosfera derivante dallo scoppio della guerra in Ucraina. “Io sono per la pace, sono contraria alla guerra, in qualsiasi luogo del mondo. Credo sarebbe giusto guardare la storia, conoscerla, studiarla anche per capire, contestualizzare e non dimenticare. Ci parlano di grandi guerre per non ripetere gli stessi errori del passato, ma l’uomo ne commette di continuo. L’ultimo conflitto non sarebbe mai dovuto iniziare. Dobbiamo unirci tutti per spingere al dialogo, l’unica cosa che può salvarci è il dialogo. Soffro per tutti quei ragazzi giovani che muoiono al fronte e per tutti gli innocenti coinvolti, da anni”, conclude la Stefanenko.