«Più defibrillatori nelle strade e più laici formati alle manovre salvavita: siamo tutti coinvolti». E’ il presidente delle Pubbliche assistenze toscane, Dimitri Bettini a lanciare l’appello. I militi della Fratellanza Militare, associazione che ha soccorso Edoardo Bove, sono volontari delle Pubbliche assistenze. Il primo ringraziamento del presidente Bettini è stato per loro. Ma non basta. «Le immagini di Edoardo Bove che crolla a terra – ha detto Bettini – sono ancora nelle nostre menti. Il giovane immobile sul campo, la disperazione negli occhi dei compagni di squadra e degli avversari, lo stadio di Firenze che ammutolisce. In quel momento così tremendo però c’erano persone che non potevano essere atterrite. Dovevano agire. A quelle immagini così drammatiche, dobbiamo unire un esempio positivo: quello dei soccorritori che erano in campo. I volontari che hanno preso in carico il calciatore della Fiorentina e, dopo avergli praticato le manovre salvavita, lo hanno portato all’ospedale. Non è semplice avere in mano la vita di una persona.
La storia ci racconta un lieto fine. Edoardo Bove è vivo. Saranno i medici a stabilire se potrà tornare o meno in campo. Quello che mi preme dire però è anche che le manovre di soccorso ricevute da Bove, non sono eccezionali. Sono le stesse praticate ogni giorno sulle strade di Firenze e della Toscana, dove i nostri uomini e le nostre donne sono chiamati a operare per salvare le vite.
E’ un pezzo della Toscana che ci piace. Una specificità tutta nostra; in settori delicati come l’emergenza sanitaria, l’antincendio boschivo, la protezione civile, ci sono i volontari. E in molti casi sono i volontari ad aver creato e migliorato il servizio stesso.
Il lieto fine però non basta: siamo tutti coinvolti. Le istituzioni nel disseminare quanti più defibrillatori automatici possibile sul territorio, i cittadini per fare corsi e imparare a usarli. Noi come volontariato per insegnare a quante più persone possibile. C’è anche un altro aspetto sul quale dobbiamo lavorare. E molto. E’ sul diffondere la cultura del soccorso, far conoscere le dinamiche e i tempi dell’intervento, come facciamo e perché lo facciamo. Insegnare alle persone a non essere d’intralcio sulla scena di un soccorso, perché a volte quello che si pensa possa essere un bene, non è esattamente il bene per chi sta male.
Quanto successo a Edoardo Bove, la reazione di una città solidale ed empatica con questo ragazzo deve essere uno stimolo in più a crescere su questo delicato tema: far sapere che con l’addestramento, e il favore del fattore tempo, è davvero possibile salvare una vita».