IL RICORDO DALLE PAGINE DE “L’AVVENIRE”
«La comunità internazionale si è arresa di fronte ad una sorta di inevitabilità della guerra, si è voltata dall’altra parte ma adesso è il momento di cambiare approccio favorendo una nuova Conferenza di Helsinki che riproponga le condizioni per la sicurezza e la cooperazione in Europa»; in un’intervista che rilasciò ad Avvenire un paio di anni fa, Mario Primicerio sosteneva che l’unica via d’uscita dal pantano ucraino era un’intesa come quella che nel 1975 fu raggiunta a Helsinki, in cui il continente europeo diviso in due dalla Guerra fredda era riuscito ad aprire un nuovo orizzonte di dialogo.
Morto questa notte a Firenze dopo una lunga malattia, all’età di 84 anni, Primicerio parlava sempre con la calma e l’autorevolezza di un uomo che era stato a fianco del “sindaco santo” Giorgio La Pira, che rese Firenze capitale della pace e del dialogo tra i popoli, e aveva fatto tesoro dei suoi insegnamenti portandoli fino ai giorni nostri. D’altra parte Mario Primicerio non era un politico bensì un grande intellettuale prestato alla politica, un matematico di fama internazionale che ha dedicato gran parte della sua vita alla promozione della pace, intrecciando la sua carriera scientifica con un profondo impegno civile e politico.
Fu proprio accanto a La Pira che, nel novembre del 1965, Primicerio fu protagonista di un gesto memorabile: si recò ad Hanoi, capitale del Vietnam del Nord, nel pieno della guerra che insanguinava il sud-est asiatico. Insieme incontrarono Ho Chi Minh e il premier Pham Van Dong, nel tentativo di aprire uno spiraglio di dialogo tra Vietnam e Stati Uniti. La proposta avanzata – un ritiro graduale delle truppe americane e la possibilità per il popolo vietnamita di scegliere autonomamente il proprio destino istituzionale – fu accolta con interesse da Hanoi, ma ostacolata dalle tensioni geopolitiche e da indiscrezioni premature sulla stampa.
Nonostante l’insuccesso, quella missione rimane però una pietra miliare nella storia della diplomazia dal basso, fondata sulla fiducia, sulla mediazione e sull’umanesimo cristiano. Da allora in poi Primicerio ha continuato a essere protagonista di missioni di pace in tutto il mondo, lavorando a iniziative per la risoluzione del conflitto arabo-israeliano, per la pace in America Latina e in altre aree critiche del mondo. Nel 1984 fondò insieme a padre Ernesto Balducci e ad altri studiosi il Forum per i problemi della pace e della guerra e divenne sempre più un punto di riferimento per studiosi, politici e giovani, ai quali offriva testimonianze, idee e proposte per affrontare le sfide globali.
Negli anni ‘90 lo convinsero a seguire le orme del suo maestro anche nelle istituzioni cittadine. L’elezione a sindaco di Firenze, nel 1995, fu per Primicerio una prosecuzione naturale dell’impegno che aveva portato avanti fino ad allora. Durante il suo mandato, la città fu teatro di numerose iniziative culturali, internazionali e istituzionali volte a rafforzare il ruolo di Firenze come luogo di dialogo tra i popoli e le religioni.
La sua visione di città era quella di un laboratorio etico e politico, capace di farsi voce autonoma nel contesto globale, riprendendo il solco tracciato da La Pira: «Le città sono più importanti degli Stati quando si tratta di costruire la pace», affermava spesso. In tutto ciò non ha mai cercato il potere, né la visibilità personale, scegliendo invece sempre la coerenza, la sobrietà, la profondità. Anche negli ultimi anni non ha mai smesso di far sentire la sua voce, sostenendo la necessità di un’azione diplomatica per porre fine alla crisi ucraina e chiedendo con insistenza un ruolo più attivo dell’Europa per evitare una guerra nucleare.
La sua analisi non era mai ideologica ma fondata su una profonda lettura storica, sull’esperienza diretta e su un’etica della responsabilità che mette la vita umana al centro di ogni scelta. Proprio nell’aprile scorso il Consiglio comunale di Firenze gli aveva conferito il Giglio d’Oro, massimo riconoscimento cittadino, per «la sua opera di tessitore di pace, custode della memoria viva di Giorgio La Pira e interprete coerente di un’idea alta di politica».
Riccardo Mechelucci
Il ricordo di Rosa Maria Giorgi
“Un grande dolore e il senso forte di una perdita per la città impossibile da colmare. Una personalità gentile e molto forte, determinata, intelligente. Un sindaco di altissimo livello. Competente e pieno di energia. Lavoratore instancabile. Un sindaco che aveva visione e strategie chiare in testa per lo sviluppo di Firenze. Ero la sua capogabinetto e ho visto come governava giorno dopo giorno. L’ho visto in campo, con coraggio, in missioni impossibili. Ho vissuto con lui le delusioni e il senso di frustrazione quando qualche progetto non si riusciva a realizzare. Tutte le infrastrutture e il volto della “grande” Firenze è stato elaborato in quegli anni di trasformazione.
Moltissime risorse in città per il Giubileo del 2000, il suo cuore grande per la città sofferente e per coloro che avevano bisogno. La sua potente laicità, da vero cattolico. La sua modernità la sua apertura alle idee e al mondo. La cultura della pace e dell’accoglienza. La disponibilità per i giovani e il rispetto assoluto per i suoi collaboratori. Il suo andare in bicicletta per le strade di Firenze. Il sindaco che ascoltava. Era molto diverso da alcuni politici del tempo e con enorme coraggio pagò anche prezzi alti per la sua coerenza e il suo alto senso civico. Palazzo Vecchio e tutti dipendenti credo che piangano sinceramente la sua scomparsa. Lo piangiamo noi che gli abbiamo voluto bene. Lo pianga la politica che da lui, sindaco di centrosinistra, ma non uomo di partito, aveva imparato molto. Ciao Mario. Non ti dimenticherò mai”.