Umberto Cecchi
Nel nulla piatto e disarmante della città, ci mancava solo l’ex teatro Comunale. E non si tratta solo di un problema estetico, che rischia di far perdere alla città la tutela dell’Unesco, ma qualcosa di peggio: mette in luce per l’ennesima volta lo stupido labirinto in cui la burocrazia sta avvolgendo la nostra esistenza quotidiana, imbriglia la nostra cultura, scombina le nostre giornate e i nostri pensieri, distrugge il nostro passato e le nostre memorie. Viviamo circondati da fogli e bolli che stanno sconvolgendo un minimo di razionalità.
Chi doveva dare l’approvazione o negare il progetto? Non lo abbiamo capito, l’ex sindaco Nardella dice che non toccava a lui mettere bocca sulle scelte estetiche fatte dalla commissione paesaggistica del comune, il sovrintendente sostiene che le leggi confondono da tempo l’iter da seguire: lui il progetto l’aveva visto a cose fatte e comunque non avrebbe potuto mutarne l’estetica, ma solo intervenire sui volumi. Insomma, a sentir tutto questo i soli a decidere sono i progettisti, gli interessi economici della città e quelli dei costruttori. Ed eccoci a un cubo nero, simile – con rispetto- alla Kaaba della Mecca, sul tetto della nuova costruzione che muta drasticamente lo skyline di Firenze, che come tutti sanno non è quello di New York, o di Dallas, ma Firenze è unico al mondo: per architettura, per storia, per cultura di una città che fino a un certo punto ha dettato queste priorità. Poi congerie di impresari, di architetti – detti anche con grande sciovinismo e disinvolta capacità di adulazione “archistar” – che si sdanno a costruire il paese delle meraviglie, senza essersi accorti che quel paese esiste già e loro si ingegnano, senza tener d’occhio le meraviglie vere che già esistono, ad appiattirlo sui modelli di oggi tutti corpo senz’anima. Come se accanto alla Torre sul Tamigi i londinesi erigessero “ la Vela” arabica.