Umberto Cecchi
Prato è alle corde: da seria città d’industria ridotta a paese dove ci si alimenta di chiacchiere, e ricatti e si assiste alle liti degli occupanti: pakistani contro neri, neri contro giorgiani che si scontrano in lotte violente per dividersi il territorio.
Le notti hanno una vita a se: negozi sventrati e ripuliti, scippi, aggressioni, liti, spesso fra gioivanissimi. Non mancano scazzottate fra studenti di scuole diverse. Fratellanze massoniche – sempre sotto tiro dei bempensanti nullafacenti di concreto – non si parlano fra loro, e le due ‘obbedianze’, Palazzo Giustiniani e Piazza del Gesù, due indirizzi storici Romani, non hanno rapporti. Né l’una né l’altra, per statuto nel tempio non parlano né di politica né di religione. Ma sono accanitamente accusate di far politica e religione. A torto purtroppo: non sarebbe male se qualcuno cominciasse a interessarsi del presente e del futuro della città. Orfana di sindaco, di tribunale, di carcere, di quelle associazioni che di solito, altrove, formano il tessuto civile. Per avere una squadra di calcio ci sono voluti quarant’anni.
La città accoglie tutti, per buonismo, e per menefreghismo li lascia dormire sotto i ponti del fiume mentre ci si trastulla con disposizioni varie che non portano a nulla, se non a mera propaganda. E se chiedi venga fatto un po’ d’ordine, ti prendi del titolo di fascista. Parola d’ordine di chi non sa dire altro e si rintana soddisfatto nel passato.
Ora la città è arrivata al turpe ricatto morale, alle minacce alla persona. Un candidato politico FdI alle regionali, è finito nel mirino di una o più cretini (Mestiere da vigliacchi il ricattatore) che si credono furbi, ma sono solo criminali che lo ricattano sputtanandolo con varie accuse. Addirittura accusandolo d’essere – Dio guardi – massone. Così come nel caso della sindaca: il suo vecchio datore di lavoro, sarebbe un massone, come ha dichiarato in barba alla riservatezza un altro massone.
Altro caso grave è l’ospdale ammalato di mancanza di medici e preso d’assalto da una popolazione di pazienti che non è in grado di ricevere. Un provvedimento lo hanno preso: nominare un facilitatore, che in pronto soccorso, tiene buoni i pazienti, consolandoli. Penso basti come esempio di pressappochismo. Dov’è la Regione?
Per fortuna in una città dove non c‘è quasi più un tribunale, dove nessuno vuol venire a lavorare. Resta un procuratore capo della repubblica, Luca Tescaroli, che ha voglia di schiarire il male oscuro che gravita su Prato da anni e sta crescendo a dismisura come una enorme nube nera.
Un ex carcerato mi ha raccontato le vicende incredibili che avvenivano all’interno della prigione: dagli stupri alle torture fra detenuti. In assoluta omertà. Nessuno sapeva. Eppure quacuno deve pagare, il carcere dovrebbe essere redenzione (!!!) non inferno. La sola cosa che funziona in questa città che cresce a dismisura e che per Roma ‘avrà quasi sessantamila abitanti’ come mi ha detto una volta nun ministro degli interni, è l’edilizia. Costruzioni che crescono come funghi al sole dopo la pioiggia. Molti sono fiorentini, che non trovano spazio per abitare a Firenze.
In questi giorni, mi dicono, le forze dell’ordine, polizia e carabinieri sono state potenziate. C’è solo da sperare che che la notizia sia reale. In ogni modo ci vorrà tempo per riportare la città a un livello accettabile di civiltà urbana. Quello che neraviglia è che i pratesi – gente sveglia e operosa – accettino tutto questo in silenzio, lasciando che le cose vadano alla deriva. Le sinistre che l’amministrano sembrano non vedere le crisi che la travolgono, e le opposizioni non sono capaci di creare una opposizione capace di riportarla a una accettabile stabilità. Colpa anche della cittadinanza autoctona che ha l’inveterata abitudine di autolodarsi e non sapersi guadare attorno. E quindi anche di non saper mandare in Comune, amministratori adatti. Né di destra né di sinistra.
Insomma, chi intermedia con Roma? Se non in politici che non ci sono? Ci sarebbero Prefetti e Questori ma negli anni non sono riusciti mai a farsi mediatori con lo Stato. Fin dai tempi in cui io ero in Parlamento.