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Inaugurata a Palazzo Medici Riccardi la mostra “Non luogo” del campione olimpico Tesconi

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tesconiPrendere la mira, sparare e fare centro. Questo per Luca Tesconi, l’atleta pietrasantino medaglia d’argento nel tiro a segno alle olimpiadi di Londra nel 2012, sembra quasi un gioco da ragazzi. Sparare, in inglese to shoot che significa anche scattare una foto. Cambia il “mirino”, ma Luca Tesconi è bravo anche con la macchina fotografica. Una passione, quella per la fotografia, nata ai tempi della scuola d’arte addirittura prima di quella sportiva. Ne è la prova la mostra, curata da Annalisa Bugliani, che si è appena inaugurata a Firenze a Palazzo Medici Riccardi dal titolo Non luogo. Le 14 immagini esposte nella sala Barducci rivelano l’anima artistica e la sensibilità dell’atleta – fotografo. Attraverso la macchina fotografica Tesconi penetra nell’animo umano facendo  percepire la disperazione, il dolore, la solitudine e sentire le urla della non rassegnazione. Sono immagini rubate intrufolandosi dalle finestre dei manicomi abbandonati della Toscana, del Lazio e dell’Emilia Romagna, chiusi dalla legge Basaglia del 1978. L’obbiettivo coglie stanze abbandonate, oggetti, cartelle cliniche, medicine: l’atmosfera decadente di un luogo che non c’è più, un “non luogo” appunto. Non a caso la mostra è allestita proprio all’interno di un labirinto realizzato dagli architetti Andrea Guidi ed Emiliano Diotaiuti. “Mi sono trovato in questi luoghi enormi e tutti uguali – ha spiegato Luca Tesconi – Le porte murate, le finestre sbarrate. Un giorno all’interno di un manicomio, dopo sei ore di scatti, non trovavo più l’uscita e il telefonino, come in un film horror, non riusciva a prendere la linea”. Il suo interesse per i manicomi è nata da bambino, quando suo padre rappresentante farmaceutico si recava per lavoro nei manicomi e leggendo poi alcuni romanzi di Tobino. “Mi raccontava dei ‘matti’, tutti in fila davanti al carrello delle medicine come zombie. Crescendo ho letto libri, ho scoperto quel mondo difficile – ha proseguito –  Ogni manicomio che ho visitato mi ha lasciato dentro un grande senso di angoscia e di solitudine”. I suoi scatti sono come dei pugni allo stomaco che fanno entrare in un mondo sconosciuto pieno di sofferenza. La mostra resterà aperta al pubblico fino al 9 marzo.
Elisabetta Failla
 

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