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LEOPOLDA NUMERO 6 Ormai è un rito, un luogo di culto. Il culto del Capo

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La Leopolda – il Granduca l’abbia in gloria – è diventata un rito. Diciamo che da stazione si è trasformata in luogo di culto. Il culto del Capo. Resta però una stazione per quanto riguarda la conta di chi va e chi viene. Chi manca e chi invece arriva fresco fresco per la prima volta. Il treno, volere o no, parte di lì: i fedeli, i furbi, gli arrivisti lo sanno, e non intendono perderlo.

Ma non è di questo che volevo parlare, ognuno è libero di gestire la sua vita e la sua indipendenza a suo modo, libero di scegliere una testa tramite la quale pensare. No non era di questo che volevo parlare, ma della ritualità nuova della Leopolda. Nemmeno Berlusconi era riuscito a tanto, Arcore era casa sua, la Leopolda è una delle case della storia Patria. Simbolo primo di comunicazione e possibile unificazione del popolo. Ora tempio del partito della Nazione, o del Capo, o come si chiama.

Ecco mi spaventa il rito, mi spaventano gli appuntamenti reverenziali, mi spaventa soprattutto il Partito della Nazione che vuol cancellare le ali alla politica del Paese. Il perché del mio timore è semplice, io che mi interesso da una vita di politica nazionale ed estera e seguo le orme della storia con curiosità, ritrovo in questi ultimi nostri passaggi della politica, echi lontani non solo europei, fatti di incontri celebrativi,  e ritrovo usi e costumi di un modo di far politica da America Latina, dove i capi nascono improvvisi, prendono le redini del Paese e della Vita, ritualizzano la politica instradandola sul sentiero di una rinascita che non arriva mai. Peron era il meno peggio di questa genia, ma ricordate i suoi discorsi dove tutto era fattibile, tutto possibile, e poi in realtà il Paese che se li era bevuti, e anche amati, alla fine si trovò, e si trova ancora tanti anni dopo, in gravi difficoltà. Debiti lasciati della tante ritualità del peronismo. Al suo partito nazionale.

Ecco  perché i riti come quelli della Leopolda mi imbarazzano. Mi imbarazzano per quell’inquietudine che mi provocano, per i commenti che ne fanno i giornali del mondo. Divertiti e curiosi. Perplessi soprattutto,

Sia chiaro, la gioventù di Matteo Renzi che qualcuno definisce una garanzia di rinnovamento, non è affatto una garanzia, ma è una opportunità, questo sì. E lui lo sa, e non sa trattenersi dal ‘teatrino della politica’ che fin che dura persuade molti, rassicura qualcuno, esalta una minoranza: la solita che si esalta sempre e comunque. Certo uno dei limiti della gioventù di Renzi è dato dal non essersi messo attorno collaboratori d’esperienza, magari molto meno giovani di lui ma più accorti e preparati. Insomma che sia il Capo a cantare la vie en rose in ogni suo discorso, costringendo il giorno dopo le strutture della Stato a rettifiche sciagurate ma necessarie sullo stato delle cose significa che dietro le quinte l’apparato non funziona. Ma come possono  collaboratori, ministri e viceministri  la maggior parte dei quali fino a ieri sconosciuti e in tutt’ altre faccende affaccendati, a contrapporre al sogno e all’inventiva un sano e altrettanto necessario realismo?

Questa riflessione mi nasce da una scivolata del primo ministro durante l’ultimo rito leopoldino. L’accorato e comprensibile messaggio pubblico a difesa del padre sotto giudizio della magistratura. E subito dopo la difesa del padre di una sua stretta collaboratrice per il quale, coram populo et in acta diurna, ha dato garanzie.

Renzi ha ragione: non si possono passare due o tre natali di fila in attesa di giudizio. Significa vivere nell’angoscia. Il fatto è che il problema di Renzi padre, è problema di alcuni milioni di italiani, per i quali però nessun capo del governo fa un discorso di pubblica difesa. Eppure dovrebbe proprio essere il Capo del Governo, a mettere in moto la riforma della magistratura. Per ritrovare i tempi giusti del giudizio e la certezza del diritto. Non come Peron che nominò i giudici obbedienti al suo partito, ma spoliticizzando la magistratura e le sue correnti – che, come diceva Einaudi, su una falsariga di  Carnelutti – rischiano di far ammalare la giustizia, rafforzando gli organici, ritoccando leggi e procedure spesso abborracciate e approssimate, che non facilitano la loro applicazione.

Insomma, che i natali che passano siano sereni per tutti, non solo per il babbo di Matteo. E i partiti non siano  quello del Capo, ma quelli degli italiani, ognuno con il proprio libero pensiero. Dalla sinistra alla destra. Si chiama democrazia, cosa vecchia, lo so, ma più rassicurante.

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