Le cronache hanno descritto, con dovizia di particolari comici e drammatici, la notte decisiva per le candidature del PD, con Renzi asserragliato nel suo ufficio: unica ammessa, si è letto, la sola Maria Elena Boschi, simile ad una lady Macbeth, se non ispiratrice, spalla autorevole nella conquista del regno: i prossimi gruppi parlamentari del partito democratico. Ma le stesse cose sono avvenute in tutti i partiti, meno appariscenti perché la matassa da sbrogliare nel PD era piò grossa e più complessa.
Ora, immaginiamo che in vista delle elezioni del 4 marzo fossero state ripristinate alcune leggi, norme interne ai partiti, consuetudini e regole di semplice galateo già in vigore nella vituperata “prima repubblica”. Per esempio: raccogliere le firme circoscrizione per circoscrizione, collegio per collegio; decidere le candidature negli organismi competenti per territorio; mobilitare la macchina dei partiti con centinaia di migliaia di attivisti impegnati ad affiggere manifesti e battere porta a porta alla ricerca del consenso, non essendo consolidato lo scambio tra editori che concedono sistematicamente spazi nei TG, nei giornali e nelle radio, e partiti che manifestano la loro gratitudine negli atti legislativi e di governo. Ecco, immaginato questo ritorno alla faticosa prassi della democrazia, sarebbe mai pensabile tutto l’indecente obbrobrio che ha caratterizzato il parto delle candidature e delle liste? Credo proprio di no, perché le strutture periferiche dei partiti avrebbero avuto buon gioco ad imporsi, come è giusto, in ragione del fatto che sarebbero state indispensabili per prendere parte alla contesa elettorale, scegliere i candidati, fare la propaganda.
Quale che sia poi il risultato del 4 marzo, possiamo già dire di essere arrivati al capolinea della nostra democrazia, smontata pezzo per pezzo negli ultimi decenni con leggi, elettorali e no, che hanno espropriato la sovranità del popolo. Oltre il punto cui siamo arrivati, siamo destinati ad addentrarci non nella dittatura ma in un terreno altrettanto insidioso: quello della democratura, formalmente democrazia e sostanzialmente autoritarismo. Un regime oligarchico, con uomini soli al comando e pochissima o nessuna trasparenza nei processi decisionali.
Se, come tutti prevedono, nessuno dei partiti e degli schieramenti in lizza sarà in grado di governare da solo dopo il 4 marzo, potrebbe non essere una iattura ma l’occasione per invertire questo processo e ripristinare in pieno le regole della democrazia. E si dovrà cominciare proprio dalla democrazia dentro i partiti. Non credo che le regole interne ai partiti possano essere imposte: sarebbe un’arma pericolosa che potrebbe sortire effetti controproducenti. Ma legare un modesto finanziamento pubblico ai partiti, oltre che ai voti conseguiti, alla condizione che sia garantita la loro democrazia interna, è battaglia, certo difficile e impopolare, che una classe politica desiderosa di riscatto dovrebbe affrontare.