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I sindaci della piana armati contro Firenze. Politica strana. Politica di dispetti. Frattura profonda nell’economia metropolitana

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Umberto Cecchi

Se c’è una cosa che non cambia mai, nella politica fiorentina, è l’indecisione e la mancanza di determinazione. Aeroporto sì, aeroporto no. Termovalorizzatore urgente e termovalorizzatore inutile. Nuova stazione alta velocità irrimandabile e quindi subito dopo, assolutamente inutile. E via dicendo, come ad esempio l’attraversamento dell’alta velocità che ogni sei mesi cambia progetti, geografie e sistemi. Adesso tutto è di nuovo in discussione: quello che diceva Renzi non vale più, come non vale più quello che diceva il governatore Rossi. Si cambia. E tutti si affannano a dire che non si tratta di stappi politici nella sinistra, ma semplicemente di scoperte dell’ultimo momento: sette sindaci di altrettanti comuni attorno a Firenze, che non ha territorio fuori delle mura  e quindi deve accattare spazi altrui, negano la disponibilità a supportare la nuova pista. E non si può non pensare che, appena finito l’effetto Renzi contro il quale gli amministratori del PD non potevano andare, si sia destata una ribellione al progetto della nuova pista, adducendo problemi procedurali rifugiandosi nella burocrazia, che fa danni irreparabili. O lasciando alla magistratura di fare le scelte al posto dei politici. I sette negano, ovviamente. Ma l’evidenza è innegabile. 

Come è netta la posizione del governatore Rossi, che adesso fa parte di una compagine diversa da quelle dell’ex segretario nazionale. E come Renzi è uomo che non dimentica i torti subiti e gli screzi. E siamo al muro contro muro.

Una politica strana. Politica di dispetti, di sogni (sogni?) rinviati per l’ennesima volta. Politica che non è di popolo, ma di vertice. Che nega alla gente qualsiasi opinione. Davvero a Prato, a Sesto, a Carmignano o Signa e così via, gli abitanti sono contrari alla nuova pista? E se lo sono, perché? Un’area economico industriale e culturale come quella di Firenze-Prato – Pistoia – Empoli, hanno bisogno di una avioscalo come si deve, capace di portare turisti, operatori dei vari settori produttivi, acquirenti da tutto il mondo. Oggi ormai, rinunciare significa creare una frattura profonda nella nostra economia. Perdere altri posti d lavoro. Altre possibilità di sviluppo.

La politica non può più essere un gioco da stanze dei bottoni’, non una partita a scacchi fra esponenti del medesimo partito o di partiti opposti, ma una opportunità creativa. Non un cupio dissolvi. Né la convivenza fra istituzioni può essere un gioco al ricatto. Quando istituzioni come Camera di Commercio, centri espositivi, e strutture varie minacciano di tirare su i ponti levatoi per chi non è daccordo vuol dire essere fuori dalla storia e dalla modernità: straparlare. Nell’era del globalismo che ci unisce – bene o male – da Yokoama a Nome, in Alaska, Piazza san Giovanni delira a pensare di restare isolata con il suo battistero tutto per se : la democrazia prevede diversità di vedute, che si possono sanare con confronti non scavando fossati. La politica e gli affari non si fanno per dispetto, ma per voglia di coesione. Voglia d’essere, d’esistere, di fare contemporaneità.

Voglio ricordare, infine, per l’ennesima volta, che mentre noi trent’anni fa annaspavamo pensando a un anello di scorrimento attorno alla città, Bologna lo fece; mentre deliravamo sul futuro aeroporto, Bologna lo realizzò; mentre a Palazzo Vecchio si annaspava attorno all’idea di uno spazio fieristico razionale, Bologna costruì. Emilia Romagna contro Toscana, comunisti di qua e comunisti di là: gli uni lavoravano e gli altri discutevano. E non è cambiato niente: Firenze così com’è rischia di dividere in due parti l’Italia. Arrivare in città via gomma è un’impresa in caso di neve, via aria è impossibile se c’è vento, attraversarla è una lotta. E menomale qualcuno più prammatico a suo tempo buttò giù un po’ di mura.

Nella nuova Toscana orfana del Pci e di tutti i suoi derivati, c’è bisogno di nuovi coordinatori . E con urgenza.

 

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