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Criticare il governo si può e si deve. Farà bene anche a loro. Di NICOLA CARIGLIA

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nicola cariglia firmaC’è una cosa importante da fare ora che ha preso il via il governo pomposamente definito “della rivoluzione e del passaggio alla terza repubblica”. Oltre che importante è addirittura patriottica: non dobbiamo abboccare. A cosa? All’intimazione, inutile, sciocca e tuttavia rivelatrice, di non criticare il governo perché occorre prima metterlo alla prova. E solo dopo giudicarlo. E’ inutile perché va da se che il governo sarà messo alla prova: ha i voti in Parlamento, chi dovrebbe mai impedirlo? Ma è rivelatrice di un atteggiamento che non ci piace: l’insofferenza alle critiche. Molto pericolosa. Anche perché le prime uscite dei due vice-presidenti del consiglio non sono affatto tranquillizzanti. “Noi siamo lo stato”, dice Di Maio e Salvini non è da meno. Non si sentono, o non si sentono ancora, il Governo del Paese ma della loro parte politica. E continuano la loro campagna elettorale.

Le critiche dovranno esserci e faranno bene anche a loro. Ricordano che esiste l’opposizione, cioè punti di vista diversi. E tenerne conto è importante. In ogni caso consente di rammentare il carattere della nostra democrazia e di correggere, se si ha la capacità di ascoltare, gli errori che sono sempre in agguato. Per Matteo Renzi, chi criticava era solo un “gufo” e si è visto come è andata. Magari li avesse ascoltati i gufi, facendo un po’ di astinenza di applausi servili e ipocriti. Ora soffia un vento anche peggiore: di questo passo dopo l’immagine ornitologica usata dai renziani si corre il rischio di vedere rispolverare la simpatica definizione di traditori e nemici del popolo. Oltre tutto le critiche si devono fare perché non sono basate sul nulla. Al limite, potrebbero essere sbagliate ma non frutto di pregiudizio. Perché ci sono pagine e pagine di un “contratto” di governo che ne riportano le intenzioni. E ci sono già le prime interviste sul come i ministri intendono procedere. E perché mai, per esempio, uno non dovrebbe dire sino da ora che non è d’accordo sull’aumento dell’IVA per finanziare il reddito di cittadinanza. O sulla flat tax, se teme che possa fare saltare il banco dei conti? Ovviamente, se poi i risultati di queste o altre misure dovessero essere positivi, se ne dovrà dare atto. Ma le critiche le si possono fare anche alle intenzioni, se sono intenzioni di governo.

Naturalmente chi si accinge a fare opposizione non dovrà limitarsi a giocare di rimessa criticando le scelte della maggioranza. Dovrà esercitarsi, da subito, a fare proposte alternative e, soprattutto, proposte proprie, dettate dai bisogni individuati e dagli interessi che si ritiene di dovere difendere. E’ la parte più difficile. Ma non eludibile. Solo così, infatti, potrà nascere una forza alternativa per il governo del Paese. Si dice che ormai la dialettica non è più tra destra e sinistra ma tra altre categorie delle quali nessuno ancora spiega bene il significato. Al contrario, penso che una forza socialdemocratica, scopertamente socialdemocratica, sarebbe in grado di giocare la partita, partendo dal reinventare per l’oggi, in una situazione fortemente mutata, un nuovo welfare, così come seppe fare in Europa, nel secolo scorso. Purtroppo il partito che per dimensione ne dovrebbe essere il perno, il PD, continua la sua latitanza a causa di lacerazioni lungi dall’essere risolte. Per questo mi permetto di rivolgere un appello caloroso a quello sciame di circoli e associazioni di cultura socialista e democratica che oltre due mesi fa si riunirono a Livorno con l’intento di rilanciare la visione di un socialismo largo, oltre i tradizionali recinti identitari. Attualmente è impegnato nell’organizzare una conferenza programmatica che dovrebbe svolgersi a Rimini a settembre o ottobre. Cogliamo questa occasione per tentare da subito una elaborazione che coinvolga, nei limiti del possibile e del ragionevole, anche altre espressioni che non disdegnino il richiamo ai valori della laicità e del socialismo democratico. Non è detto che ci si riesca, ma almeno proviamoci.

Nicola Cariglia

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