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di UMBERTO CECCHI Renzi invece di irritarci ci fa tenerezza ma ha finito per non convincere più neppure gli amici come Napolitano

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 Bisogna ammeterlo: qualche volta Matteo Renzo invece di irritarci ci fa tenerezza. Perché agisce con atteggiamenti così puerili da farci pensare che ci prenda per imbecilli. Ma non è così: gli viene naturale lasciarsi ammaliare dalla reti e dai trabocchetti della politica, che spingono in genere a reagire in modo puerile di fronte alla peggiore evidenza.

Dunque l’evidenza l’ha ha capita anche mio nitpote ospite da me ma americano e pur avevendo otto anni critico con Trump, che lui a scuola, alla prova elettorale fra gli studenti, non ha votato: la sinistra è stata fatta sparire e nascosta sotto il tappeto.

Tenerezza perché? Ma perché nella sconfitta lui è un eroe. E’ grande. Perde a man bassa il referendum e si presenta alle telecamente con sua mogle, e ci avverte con una vaga tristezza velata di rimpianto, di sofferenza profonda, di purezza sconfitta, che se ne va. Che ha sbagliato, ha perso, e toglie il disturbo. E noi che abbiamo ancora una carica minima di umanità e dignità – nonostante la sfacciataggine della classe poltica, da Alfano a Verdini da  D’Alema fino allo stesso Berlusconi, che meno male c’è come dice lui, ma purtroppo ascolta sempre i peggiori, gli zigzaganti di comodo, per arrivare infine a Grillo guitto fra i guitti – gli abbiamo creduto, al Renzi dimissionario. Un test che inequivocabilmente ci colloca fra i minus abens del nostro tempo. Perché avremmo dovuto saperlo che lui, il giovane Renzi, si dimetterà sempre con una maschera di tristezza profonda, ma non se ne andrà mai. Lui pensa d’essere Re sole, che a suo tempo mise in moto la più grande propaganda ad personam mai esistita prima, e ritrovata poi solo coi meccanismi politico-egocentrico- esoterici di Adof Hitler che portò dalla sua parte anche Dio gridando alla folla beota ‘Gott mit uns’. Peccato per lui che all’ultimo Dio si distrasse.

Stavolta ha battuto se stesso. Sesto San Giovanni roccaforte operaia, perduta dalla sinistra dopo sett’ant’anni;; Genova la rossa, di sinistra da trentacinque, passata a destra; una fila di grossi centri perduti assieme a loro, come ad esempio un irriducibile Aquila, sono divetati per Renzi una minoranza, perchè fra i comuni votanti la maggioranza dei più piccoli ha votato a sinistra, come Vaiano. Certo fa colpo dire ‘siamo la maggioranza’, com’è accaduto alle ultime elezioni per la segreteria del PD. Maggioranza di cosa? Di quel che resta dei non votanti, delle schede nulle, di voti dispersi. Ed è per questa sua facilità e ambiguità ‘pret a porter’, tirata fuori a comodo, che Renzi ha finito per non convincere più neppure gli amici – Vedi Napolitano – e gli restano solo quelli che senza di lui tornerebbero a essere inghiottiti nel nulla: mai sentiti prima, sparit idalla storia ancora prima di entrarci.

Peccato. Renzi avrebbe avuto tutti i presupposti per essere un buon presidente del consiglio. Ma ha  voluto essere troppo. Si è messo in mano di un pugnello di incapaci politici arrivisti. E ora, solo impegnandosi allo spasimo e cambiando tutto e tutti, potrà risalire la china. Pensi a Sesto a San Giovanni, antica cittadella di operai, A Torino, patria dei metalmeccanici del Lingotto: quella gente ha perso lavoror, ideali e la sua fede nella che non c’è più. I pensionati il portafoglio già misero. Negli ospedali si fa la fila per anni prima di un intervento che si avrà solo se non si muore prima. Il passato è stato annullato e il futuro non esiste. I terremotati sono ancora all’addiaccio, i burocrati – che lui aveva promesso di dimezzare fin dal promo momento – comandano e distruggono il paese in accordo coi politici, la giustizia è sempre più lenta e la disoccupazione aumenta, la classe media distrutta scientificamente non è più in grado di intervenire. Ma Renzi guarda dritto nelle telecamere e con piglio da Tahtcher, un pò arrogante un po’ lasciatemi lavorare, spiega ch’è che ottenendo una disfatta, ha pur vinto. Sic transit gloria mundi. 

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