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Smantellati i “miti” della politica con il voto anormale di un paese anormale

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Umberto Cecchi

Un politologo potrebbe scrivere un saggio su queste elezioni. C’è di tutto: l’arroganza punita del potere, la disaffezione, una voglia dell’elettorato di dare una lezione severa e dimostrare di voler ragionare con la propria testa. La certezza che niente è più stabile come prima. Neppure, anzi soprattutto la sinistra, fra litigi, improperi, offese e querele. C’è un vecchio concetto nuovo nel risultato finale: la folgorazione degli italiani di essere liberi in schiavitù. E quindi la rivolta, perché le schiavitù, quelle psicologiche ormai, dove c’è chi ti convince di star lavorando per il popolo e invece lavora per se e per le grandi manovre economiche del globalismo, vanno smantellate.
I versi di Malaparte, erano oltre mezzo secolo fa la lettura di un futuro difficile. Eccoli:
L’Italia è libera
Dio la conservi
Siam tutti servi
In libertà.

Viviamo tempi assurdi, dove la felicità è ricca di uno strano malessere. E la politica con le sue truffe ai pensionati, le sue aberrazioni erariali, l’ignorare il disagio dei giovani, giocare coi dati Istat che ci dicono ciò che non traspare mai al di là del burocratese, il suo assolutismo che tiene sempre meno conto della democrazia parlamentare, messa in un angolo, crea incertezza, disagio, paura.

Renzi peggio di Bersani. E’ tutto dire. Il primo diceva di non essere lì a rasciugare gli scogli, il secondo vuol far credere di far tutto, proprio tutto, anche rasciugare gli scogli. Non si può promettere una riforma il mese pur sapendo che per le riforme vere – burocrazia, scuola, economia, tasse, impresa – non basterebbero come minimo un paio d’anni. Queste cose ormai le sanno anche i ragazzini delle medie che in genere non sanno nulla.

E i pensionati, che sono tanti e votano.
Il premier aveva dato un valore politico a queste regionali: lo aveva deciso lui, non noi. Questo valore gli è esploso in mano: il Pd è fermo al palo presenziano. Ferocemente diviso, stranito e confuso, ha rischiato di perdere anche la rossa Umbria, presa appena con lo scarto di un punto, il resto tutto lo sanno, l’Emilia, mesi fa, ne è uscita con partito e voti decimati. Oggi è persa di netto la Liguria e addio al Veneto. E ampio spazio, forse troppo, alla destra di Salvini al movimento Cinque Stelle.

Neanche in Toscana, soprattutto in Toscana dove Rossi dice d’essere la diga che ferma le destre, ma che piuttosto sembra una paratia stagna che ha preso appena il 50% del già misero 50% dei votanti. Gli altri, destra o sinistra che fossero sono stati a casa, al mare, alla Tv, meglio il Low§Order televisivo che il reality politico.

Nella guerra interna del Pd ci sono state cose davvero da manuale: sottosegretari vetero democristiani che a Prato avevano imposto, come fanno da anni, candidati ex Dc (ecco dov’è finito il rinnovamento PD) ma che in parte sono stati fronteggiati da candidati di una sinistra vera, che pur se osteggiati in ogni modo, hanno tenuto botta, e ha surclassato almeno uno dei candidati raccomandatissimi dalla linea renzina democristiana.

Il Dramma di Forza Italia Resta, al politologo che volesse pensare a un saggio postelettorale da scrivere, il dramma di Forza Italia, una garanzia di centro destra che venti anni fa risparmiò al paese il tonfo della politica risvegliando fra gli italiani il gusto di partecipare alla vita del paese. Fu un exlpoit inatteso. Il rappresentate dell’Italian desk a Washington a quel tempo mi chiese cosa stava succedendo spiegandomi: ‘i vostri maggior imprenditori avevano garantito per il Pci al governo. E ora vediamo profilarsi la vittoria di un Silvio Berlusconi’. Che succede’?
Succede, gli spiegai, che ancora una volta, voi americani avete sbagliato conti e suggeritori. Vi hanno imbeccato male. Lo stesso devo dire è stato fatto oggi con Obama, che ha regolarmente abboccato.

Ora tutto questo è finito nel cestino sotto la scrivania. Berlusconi paga l’essersi fidato di opportunisti che giocavano per se stessi, non per FI o il PdL. Una sua vecchia debolezza questa di circondarsi come una chioccia di quelli che gli altri partiti, conoscendoli, tenevano alla larga.
Oggi in Toscana, dove fra l’incredulità totale FI ebbe un’affermazione incredibile, l’ex partito degli azzurri è ridotto all’osso. Il suo successo non piacque fin da allora. E fin da allora, c’è stato un gioco alla meno. Un gioco di personalismi all’interno dello schieramento che hanno sfasciato tutto. Aprendo le porte alla Lega Toscana e a Grillo, qui e nel resto del Paese.

Non ci resta che aspettare per vedere dove se ne andranno a far danni i camaleonti de PdL. Alcuni di loro, si dice, Renzi è pronto a prenderli con se per continuare una intesa che già esiste da tempo. Si chiama asilo politico.
Resta una verità, la controprova: là dove Berlusconi ha fatto di testa sua, senza maneggioni, come in Liguria, le cose sono andate diversamente. Ma troppo tardi.

E ora? Se si ascolta il Renzi preelettorale, che parlava – un po’ a vanvera, va detto – di valore politico del voto, il Pd dovrebbe riesaminare la sua politica che non sembra in buona salute. Berlusconi dovrebbe far pulito in casa sua, mettere a terra Dudù, che cammini da solo, e lasciare a casa la fidanzata, senza coinvolgerla in politica come testimonial di gioventù, e ricominciare daccapo. Anche se tutto sommato non ne ha voglia.
Il Paese ha bisogno di opposizione, di un Parlamento serio, di regole che non cambino settimana per settimana. Ha bisogno di fatti non di ripicche fra Confindustria e Fiat, azienda quest’ultima che ci è sempre costata un occhio della testa. Ha bisogno di costruire non di distruggere o di battaglie di carte bollate.
Ha bisogna davvero di tornare a essere un paese normale.

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