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Contraffazione, denunciate 10 ditte cinesi Falsi “Made in Italy” Sequestrati 2.800 capi d’abbigliamento,530.000 metri di tessuto, 6.000 accessori per abbigliamento

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Quasi tre milioni di capi di abbigliamento ed accessori, circa 530.000 metri quadri di tessuto, tutto recante falsa indicazione “Made in Italy”, nonché 6.000 accessori per abbigliamento contraffatti, per un valore complessivo di circa € 18.000.000 sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza del Gruppo di Prato al termine di una indagine che ha portato allo scoperto un vasto e collaudato sistema di frode nel settore dell’abbigliamento: ben 10 gli imprenditori cinesi denunciati nel corso dell’operazione “MADE IN?” alla locale Procura della Repubblica, accusati a vario titolo di contraffazione, ricettazione, frode nell’esercizio del commercio, vendita di prodotti industriali con segni mendaci ed impiego di manodopera clandestina, mentre l’attività di 5 imprese è stata sospesa per il rilevante impiego di lavoratori “in nero” e/o clandestini.

A dare il via all’indagine la presenza sul mercato di capi di abbigliamento e tessuti di origine cinese, turca, egiziana, ungherese e slovena che si trasformavano in prodotti 100% made in Italy. Una magica trasformazione riconducibile però ad un semplice trucco: quello di apporre sui capi e sulle confezioni etichette e/o diciture che attestavano falsamente come il prodotto fosse interamente realizzato in Italia, mentre in realtà proveniva dai citati paesi.

Stampe, etichette, bandiere dell’Italia, la figura geografica dello stivale, l’utilizzo dei colori verdi, bianco e rosso, tutto ciò che era idoneo ad indurre in inganno il consumatore. La maggior parte dei capi, circa il 90% avevano una composizione tessile completamente difforme da quella indicata. Capi che, per attirare il compratore si fregiavano di etichette fasulle attestanti il “Made in Italy” oppure la composizione di fibre quali cachemire, seta, alpaca e lana, mentre in realtà si trattava di comuni tessuti sintetici, il tutto confezionato con modalità tali da esaltarne le caratteristiche di qualità, ovvero, in pratica “rassicurare” il consumatore sulla originalità del prodotto.

Una serie di trucchetti che consentivano agli imprenditori cinesi denunciati di incrementare di oltre il 500% il valore di quei capi contraffatti, destinandoli in buona parte all’esportazione, pur non rispettando minimamente gli standard qualitativi del prodotto “Made in Italy”, con conseguente danno economico e d’immagine su tutta l’autentica produzione nazionale.

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